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i diari dei viaggiatori diari argentina

 

PATAGONIA e RAPA NUI: alla fine del mondo e un po' oltre

di Alessandro e Sabrina

1-20 novembre 2009

Tutto inizia dalla coda. Sì, la coda di una balena immortalata dallo scatto di una viaggiatrice su forumviaggiatori.com. Da lì parte non tanto il desiderio, quello è vecchio, quanto il reale e concreto intento di organizzare un viaggio in Patagonia. Se poi alla coda si aggiungono il nostro sfrenato amore per le vacanze “naturalistiche” ed il desiderio di soddisfare un capriccio chiamato moai, ecco che il gioco è fatto e si comincia a pensare a quando andare e per quanto tempo. Belle domande: l’alta stagione nell’Argentina meridionale comincia a dicembre (l’estate), ma già la fine di ottobre e novembre sono mesi buoni per il trekking con temperature sopportabili; le balene alla Penisola Valdes sono visibili fino all’inizio di dicembre, mentre all’Isola di Pasqua i mesi di novembre e dicembre dovrebbero (dovrebbero!) coincidere con la stagione meno piovosa.

Leggendo i diari di viaggio ci siamo resi conto che la Patagonia richiede almeno due settimane perchè le distanze sono enormi e di conseguenza gli spostamenti risultano lunghi; in più le giornate, soprattutto nei parchi, possono essere abbastanza faticose. Per Rapa Nui invece occorre mettere in conto almeno quattro giorni, tra spostamenti e visita. Noi in venti giorni siamo riusciti a fare praticamente tutto, ma l’organizzazione prima di partire è stata precisa e puntigliosa, spinta fino ai dettagli, ma senza esasperazioni; il tutto grazie anche ai preziosissimi consigli di Lorenzo e Sabrina di forumviaggiatori, che non smetteremo mai di ringraziare.

Visto il gran numero di voli, tra intercontinentali ed interni, e le precedenti esperienze positive, abbiamo voluto riprovare a viaggiare col solo bagaglio a mano, riducendo al minimo il necessario e caricando al massimo, in dimensione e peso, gli articoli da portare in cabina. Così con uno zaino da 60 litri e uno da 30, una borsina per la tecnologia ed un’altra “al femminile” da circa 20 litri, siamo andati dall’altra parte del mondo. L’abbigliamento, come detto, era ridotto al minimo: una giacca tecnica antivento (non imbottita), due pile, due pantaloni, un k-way, un paio di soprapantaloni impermeabili, magliette e gli scarponcini da trekking. Approfittando dei termosifoni e degli indumenti sintetici abbiamo fatto qualche lavaggio la sera per ritrovare tutto perfettamente asciutto la mattina. Per ridurre il peso e non perdere in prestazioni abbiamo acquistato alcuni articoli tecnici in negozi specializzati e dobbiamo dire che la spesa è stata ripagata dagli ottimi risultati, perchè mai abbiamo sentito freddo o ci siamo sentiti in difficoltà per il vestiario. E comunque ora ci ritroviamo con una serie di capi di buona qualità, utili per tutti i prossimi viaggi. Quindi, consiglio: spendete qualcosa in più per una giacchina tecnica e non ve ne pentirete.

Le sistemazioni, come al solito, sono state scelte seguendo i consigli degli altri viaggiatori e consultando le guide “Cile e Isola di Pasqua” di Lonely Planet e “Patagonia” di Footprint, entrambe utilissime e ben fatte. Gli hostales sono stati prenotati via mail. Tutti i trasporti come voli e bus sono stati acquistati in anticipo dall’Italia prenotando direttamente dai siti delle compagnie, così come le principali escursioni guidate al Parque Nacional Los Glaciares.   

Complessivamente il viaggio è ci costato circa 3100 euro a testa, tutto compreso (voli, alloggi, biglietti ,escursioni, pasti, auto, benzina), esclusi i souvenirs. Al momento del viaggio i tassi di cambio praticati in loco erano i seguenti: 1 euro = 1,50 $ = 5,60 AR$ = 730 CLP; tutte le spese sono sempre espresse nella valuta usata al momento.

Il diario alla fine è venuto un po’ lungo, ma il desiderio di raccontare insieme a quello di trasmettere i migliori consigli ci hanno fatto riempire tante, forse troppe, pagine di parole. Speriamo che la lettura sia utile e non risulti troppo pesante.   

domenica 1 novembre 2009, CESENA – BUENOS AIRES

L’orario della sveglia comincia col 3, ma l’euforia della partenza lo rende più che accettabile. Voliamo in perfetto orario da Bologna a Madrid e poi fino a Buenos Aires con Iberia (andata bologna-madrid-baires, ritorno santiago-madrid-bologna, voli acquistati su iberia.com a maggio per 908 euro a testa), dove atterriamo alle 20:50. Stiamo già assaporando il gusto di uscire per primi quando arriva il controllo passaporti: un’infernale fila ed una gestione che definiremmo italiana ci fanno perdere quasi un’ora, in attesa di un controllo poco più che simbolico. Alla fine usciamo e come da accordi telefoniamo alla posada per farci venire a prendere, ma la macchina che dovrebbe condurci a letto non si vede. Trascorriamo più di mezz’ora a vederla sfrecciare davanti a noi senza fermarsi e, quando stiamo per cedere alle costose avances di un tassista, ecco il mezzo che finalmente ritorna e si ferma. La posada è a cinque minuti dall’aeroporto internazionale (i voli domestici partono dall’Aeroparque, dall’altra parte della città, sulla costa), i gestori sono ospitali e cordiali, il luogo è davvero molto carino. Peccato doverci stare solo poche ore.

NOTTE: Posada de las Aguilas, Josè Hernandez 128, Barrio Uno, Aeropuerto Ezeiza, Buenos Aires – 327AR$ doppia con colazione (BB); tel.+5411.4480.9637, posadadelasaguilas.com.ar – info@posadadelasaguilas.com.ar.

 

lunedì 2 novembre, BUENOS AIRES – PUERTO PIRAMIDES

Comincia l’avventura. E quasi rischia di finire subito perchè Sabrina, con la mente forse ancora intorpidita dal sonno negato, scivola sulle scalette bagnate e quasi si schianta tra gli scalini. Per fortuna un attimo prima di toccare la dura terra un riflesso salva la sua vita e la mia vacanza e le consente di aggrapparsi al corrimano. Scampato il pericolo prendiamo un più sicuro taxi (100AR$) e capiamo subito che andare all’Aeroparque alle 5 è l’unico modo per impiegarci meno di un’ora. Piove, i viali sono già trafficati e l’autista ci spiega che mezz’ora più tardi sarà impossibile passare. Il volo Aerolineas è in orario (acquistato a luglio sul sito aerolineas.com: baires-trelew + trelew-ushuaia + ushuaia-calafate 328€ a testa. Uffici di Bologna presso Paseo Travel, piazza Roosevelt 4, tel.05126007, mail: bologna.gsa@aerolineas.it) e in meno di due ore siamo a Trelew, dove al banchetto Budget ritiriamo le chiavi della nostra Chevrolet Corsa, prenotata qualche giorno prima dal sito budget.com per 130$ con assicurazioni e 400 km al giorno inclusi. Lo scopo della sosta alla penisola Valdes è l’avvistamento delle balene che in questo periodo (fino ai primi di dicembre) popolano la piccola Caleta Valdes, di fronte alla località di Puerto Piramides. Ci spingiamo quindi subito verso nord, all’interno della riserva naturale che comprende tutta la penisola (ingresso 45AR$ a persona + 5AR$ per veicolo) e ci godiamo quella che sarà la nostra unica esperienza di guida in terra patagonica. Il panorama scorre veloce (ci sarebbe il limite dei 60 km/h, ma ci superano tutti ai 120, così ci adeguiamo) e il desolato ma affascinante niente della pampa ci tiene compagnia per poco più di due ore. La scelta di noleggiare un’auto ci sembra vincente e ci ha soddisfatto pienamente, perchè non solo si ha il completo controllo degli orari e dei tempi, ma anche perchè alla fine tra un’escursione e l’altra si vengono a spendere più o meno le stesse cifre. Anzi, con le escursioni organizzate (in genere da Puerto Madryn) sarebbe risultato difficile riuscire a vedere tutto quello che abbiamo visto in quasi un giorno e mezzo.

Puerto Piramides è un paesino di poche case e altrettanti ristoranti e agenzie di whale-watching. Apparentemente misero, conserva tuttavia il fascino particolare dei luoghi di frontiera, con le case di lamiera, le strade polverose e i cani randagi. Anche se la sistemazione alla posada è stata un po’ spartana, ci è piaciuto il clima sereno e la squisista cordialità della gente, tanto che ci sentiamo di consigliare a tutti il pernottamento qui, non fosse altro che per trovarsi già in prima fila per l’escursione in barca. Subito la giovane proprietaria ci consiglia di partecipare alla prima uscita disponibile, per evitare il vento del pomeriggio, e addirittura prenota per noi la barca delle 13:30 con l’agenzia Bottazzi (150AR$ a testa meno 15AR$ di sconto per la convenzione con Budget rental car, titobottazzi.com). L’imbarcazione può contenere fino a 40 persone, ma per fortuna siamo meno della metà e riusciamo a posizionarci dove meglio crediamo durante tutta la gita. In pratica ci si spinge al largo mantenendosi sempre all’interno del piccolo golfo; le guide sconsigliano di uscire con vento forte perchè il mare agitato rende l’esperienza sicuramente meno piacevole, visto che spesso ci si trova a motori spenti per non disturbare le balene. Proprio per  l’imprevedibilità meteorologica della zona conviene venire qui subito, senza perdere tempo altrove, per non rischiare di saltare quella che comunque è un’escursione imperdibile.

Balene se ne vedono tante: grandi, piccole, solitarie, in gruppo... Sole caldo e splendente, cetacei in doppia e tripla fila come in centro il sabato pomeriggio: inutile descrivere un’esperienza unica ed eccitante che ci soddisfa in pieno e che va assolutamente fatta. Le balene sono creature curiose, si avvicinano alla barca, ci passano sotto, strisciano il dorso sulla chiglia facendola dondolare. Restano in immersione per diversi minuti e riemergono sbuffando a pochi metri di distanza da noi; poi tornano nelle profondità regalando, come un saluto, la spettacolare visione dell’immensa coda. Il tutto dura poco meno di due ore e ci lascia un po’ di tempo per tentare un’esplorazione della parte meridionale della penisola.

Avvistiamo nandù e guanachi mentre ci spingiamo verso Punta Delgada dove, all’ombra delle alte scogliere, esiste una colonia di leoni marini. La strada è sterrata e si procede lentamente, tanto che quando rientriamo è quasi buio. A dire la verità ci aspettavamo qualcosa di più da questo mirador naturalistico, perchè gli animali sono decisamente lontani. Probabilmente durante il giorno è possibile scendere alla spiaggia, o almeno è possibile farlo da altri passaggi più a nord, al di fuori della riserva vera e propria. E’ troppo tardi e non riusciamo a spingerci fino a Punta Norte, ma non avrebbe molto senso perchè la principale attrattiva, se così si può chiamare, sono le orche che arrivano fin sulla spiaggia per catturare i piccoli di leone marino, ma lo fanno solo a marzo.

Rientriamo al paesello e per la cena scegliamo di restare alla posada, ingolositi dalle pietanze che avevamo visto servire a pranzo: la scelta si rivela ottima, tanto che la consigliamo anche a chi alloggia altrove.

PASTI: pranzo Gracias, P.to Piramides – 37AR$ in due; cena Posada Piramides – 112AR$ in due.

NOTTE: Posada Piramides, Av. Las Ballenas s/n, Puerto Piramides – 300AR$ (BB); tel.+5402965.1539.3033, posadapiramides.com, reservas@posadapiramides.com.

 

martedì 3 novembre, PUERTO PIRAMIDES - USHUAIA

Il primo risveglio patagonico è più tranquillo e finalmentre ci sentiamo riposati. Lasciamo la penisola soddisfattissimi e ci mettiamo in marcia verso Punta Tombo, sede della nota e animatissima colonia di pinguini di Magellano. La strada scorre velocissima e l’unico rallentamento è a Trelew, dove le indicazioni per Comodoro Rivadavia non sono sempre chiarissime. Approfittiamo per fermarci in una panetteria a comprare qualcosa di goloso per il pranzo. Solo gli ultimi 25 km sono sterrati, ma il fondo è più che buono e le indicazioni per la pinguinera non mancano (ingresso 35AR$ a persona). Si arriva e si parcheggia davanti alla biglietteria, poi un ranger tiene un piccolo discorso informativo ai gruppetti di visitatori prima di farli entrare. Il parco in realtà è un tratto di spiaggia costellato di arbusti che proteggono migliaia di nidi; servono meno di due ore per percorrere il sentiero delimitato da pietre bianche che lo attraversa in tutta la sua estensione. Scattiamo mille foto al primo pinguino che incontriamo, ma dopo pochi metri siamo letteralmente travolti da un esercito di ondeggianti peluches che spuntano da tutte le parti. E’ l’ultimo periodo di cova e presto le uova si schiuderanno, quindi molti sono nelle tane a prestare le ultime decisive cure ai nascituri. C’è un incredibile viavai tra chi entra e chi esce dalle buche scavate al riparo dei rovi, c’è chi caracolla da una parte all’altra del sentiero e non mancano i rumorosi scambi di opinione tra maschi e femmine. Lo scenario naturale accentua la bellezza dello spettacolo e lo sfondo blu del mare sull’oro della sabbia accresce la sensazione di trovarsi in un documentario. Un’escursione che, a parte il vento a tratti fortissimo, merita senza dubbio di essere fatta.

Ritorniamo sui nostri passi verso Trelew, anche se siamo un po’ in anticipo sull’orario del volo per Ushuaia, ma non possiamo credere ai nostri occhi quando arriviamo all’aeroporto e lo troviamo praticamente chiuso. Capiamo che la piccola aerostazione si anima solo nei minuti  che precedono e seguono gli arrivi e le partenze. Il bar è chiuso, le biglietterie sono sbarrate, i piccoli banchi dei rental car sono deserti, perfino gli addetti alla sicurezza non si vedono. Nella sala d’attesa, in silenzio e con le luci spente, ci siamo solo noi e un’altra coppia di turisti. Poi, mezz’ora prima del volo, tutto prende vita e tanti piccoli figuranti riconquistano le loro posizioni.

Attraversiamo tutta l’Argentina volando in direzione sud, destinazione fine del mondo. E l'impatto con Ushuaia è proprio mozzafiato: arriviamo con le ultime luci del giorno sorvolando le cime innevate e la cittadina schiacciata tra il Canale di Beagle e queste vette che verrebbe da definire arcigne, dure, quasi cattive. Non vediamo l'ora che sia domani per esplorare questo che ci sembra veramente un luogo da fine del mondo, quasi uno scenario da film fantasy. Anche la cabana, a pochi passi dal centro, ci soddisfa pienamente. Pur essendo molto tardi il signor Alejandro ci aspetta e ci accoglie col calore di un vecchio amico. Parlando scopriamo che la sua famiglia è originaria di Arona, ma lui ha sposato una greca-francese con la quale ha deciso di venire a vivere quaggiù; parla correttamente cinque lingue e nel giardino di casa ha costruito casette di legno squisitamente arredate in cui ospita i turisti. Per noi è già mito e maestro di vita!

PASTI: colazione alla posada; pranzo al sacco – 15AR$ in due; cena in volo.

NOTTE: Galeazzi & Basily B&B, cal. Gobernador Valdes 323, Ushuaia – 240AR$ (BB); avesdelsur.com.ar, fbasily@speedy.com.ar.

 

mercoledì 4 novembre, USHUAIA

In dieci minuti a piedi siamo al porto e cominciamo a valutare le offerte dei numerosi tour operator per l’escursione sul Canale di Beagle. Le possibilità sono numerose e interessanti, dalla semplice uscita di tre ore (che avevamo programmato e che scegliamo) ad escursioni di una giornata intera. Il catamarano di Ushuaia Explorer’s (135AR$ a persona) è un barcone a più livelli con ponte panoramico scoperto. La giornata è splendida e non possiamo rinunciare ad occupare una postazione all’aperto. Quaggiù però quando ci si muove tra i ghiacciai e si è un po’ meno protetti dalle montagne ci si accorge subito del vento del sud, così freddo e potente che strappa la faccia. Viviamo la mini-crociera alternando uscite sul ponte a rigeneranti minuti all’interno, godendo dei fantastici panorami della città dominata dalle ultime Ande e perdendoci a fotografare pinguini, cormorani e leoni marini su ogni scoglio. La gita è senz’altro piacevole e va fatta anche se, con più tempo a disposizione, anche una delle uscite più lunghe può risultare una buona scelta. Compresa nel prezzo del biglietto c’è una cioccolata calda da Laguna Negra, nota cioccolateria del centro, che dopo il gelo del Beagle è proprio quello che ci vuole per riattivare le funzioni vitali. Naturalmente ci perdiamo tra praline e tavolette bianche, fondenti, alle nocciole, alle castagne, al rhum…e alla fine ci scappa pure un toast gigante con cui completiamo il pranzo. Crociera o no, questa miniera di golosità merita sicuramente di essere esplorata.

E’ presto è c’è tutto il tempo per andare al Parque Nacional Tierra del Fuego (ingresso 50AR$ a persona, tierradelfuego.org.ar). Torniamo a piedi al porto e da lì prendiamo un bus della linea “Regular” per il parco (50AR$ a testa) che in poco meno di un’ora ci porta fino alla Bahia Lapataia, suggestivo punto di partenza del sentiero che abbiamo intenzione di fare. Il sentiero in realtà non è il massimo, perché di fatto coincide quasi sempre con la strada carrabile che attraversa il parco, ma alcuni degli scorci e dei panorami che ci si presentano sono veramente notevoli. In poco più di due ore percorriamo i 6 km che ci separano dal camping Lago Roca, dove l’ultimo bus per Ushuaia parte alle 18. Arriviamo in centro col tempo e la fame giusta per affrontare una superba cena a base di centolla, il granchio gigante tipico di queste latitudini.

PASTI: colazione in camera; pranzo Laguna Negra, San Martin 513, Ushuaia – 33AR$ in due; cena Cantina Fuegina, San Martin 326, Ushuaia – 198AR$ in due.

NOTTE: Galeazzi & Basily B&B, cal. Gobernador Valdes 323, Ushuaia – 240AR$ (BB); avesdelsur.com.ar, fbasily@speedy.com.ar.

 

giovedì 5 novembre, USHUAIA – EL CALAFATE

Visto che ieri abbiamo fatto tutto quello che “dovevamo” fare, ci svegliamo ad un orario più umano e…nevica! Il panorama resta spettacolare e anzi, la neve aggiunge fascino alla città più a sud del mondo. Il Museo Maritimo (ingresso 50AR$ a persona, museomaritimo.com) ci sembra la destinazione più giusta e infatti ne restiamo affascinati. Non solo sono ospitati e descritti i modelli delle navi dei grandi esploratori, ma il museo comprende anche le vecchie carceri. Ushuaia infatti nasce come colonia penale e sono ancora visibili le celle così come testimoniano le numerose foto alle pareti. Immagini storiche degli indigeni (trovati nudi nella neve dai primi esploratori), cronache ed equipaggiamento dei pionieri, attrezzature navali e molto altro, ci fanno apprezzare una tappa secondaria, ma senza dubbio interessantissima. All’uscita, non sazi di “cose”, buttiamo i soliti 50AR$ per farci portare da un taxi alla stazione Fin del Mundo, tanto per dare un’occhiata e scattare la foto di rito. Torniamo giusto in tempo per recuperare i bagagli e salutare il signor Alejandro; un altro taxi ci porta all’aeroporto (20AR$), dove aspettiamo l’aereo per El Calafate in ritardo di un’ora (tassa aeroportuale 25AR$ a persona…che alla fine fanno sempre 50).

Chiamiamo l’hostal per avvisare del ritardo e soprattutto per verificare se hanno ricevuto i nostri vouchers di Patagonia Backpackers per le escursioni dei prossimi giorni. E qui ci sembra utile aprire una piccola parentesi su tutto quanto ruota attorno all’organizzazione turistica del Parque Nacional Los Glaciares. Le attività classiche, o almeno quelli che vengono definiti i must del soggiorno a El Calafate, sono la visita del Perito Moreno e la navigazione sul Lago Argentino a caccia di ghiacciai e iceberg. Sono molti gli operatori che propongono infinite varianti sul tema, tanto che in fase di organizzazione si corre il rischio di sentirsi un po’ confusi. In realtà va detto che i prezzi delle principali escursioni sono più o meno tutti uguali e decisamente non vale la pena perdere troppo tempo tra un’agenzia e l’altra per trovare l’occasione giusta. In particolare ci sembra di aver notato una specie di patto di non belligeranza tra grandi e piccoli tour operator, che si manifesta al momento della “raccolta” dei turisti. Infatti siamo stati prelevati da minibus di compagnie che non conoscevamo, i quali poi ci hanno portato al bus della nostra compagnia. Lo stesso abbiamo notato per altri gruppi: in pratica il piccolo operatore collabora col grande e ne facilita la gestione delle escursioni. Alla fine all’imbarcadero o al punto di raccolta si va sempre via con uno degli operatori più importanti, quindi tanto vale rivolgersi direttamente a uno di questi evitando inutili e a volte dispendiosi passaggi di testimone. Senza voler far torto a nessuno, ci sembra che i tre più potenti siano Chalten Travel (chaltentravel.com, contacto@chaltentravel.com), Hielo y Aventura (hieloyaventura.com, info@hieloyaventura.com) e Patagonia Backpackers (presso Hostal Los Glaciares, av. Libertador 587, El Calafate; tel. +5402902.491792, patagonia-backpackers.com, info@glaciar.com). Proprio quest’ultimo, dopo lunga e attenta ricerca, è stato la nostra scelta, anche se onestamente la differenza rispetto agli altri era minima. La decisione si è comunque rivelata azzeccata sia in fase di preparazione, per la gentilezza e la disponibilità dell’operatrice Luciana, che sul posto, per la precisione e la puntualità dei servizi offerti. In più abbiamo scoperto che, oltre ad essere gestori dell’Hostal Los Glaciares, sono anche tra i principali organizzatori dei trekking e delle esperienze più avventurose; anche per questo ci sentiamo di raccomandarli.

Comunque al telefono l’albergatrice ci conferma che i vouchers sono lì dal giorno prima e che qualcuno dell’hostal ci verrà a prendere all’aeroporto. Siamo un po’ sorpresi perchè il transfer non era previsto, ma meglio così. In realtà all’arrivo non vediamo nessuno e già, dopo Buenos Aires, ci prende la sindrome da abbandono, così concediamo il nostro favore al primo tassista che ci avvicina, tal Mauricio, che si propone per portarci in centro (80AR$). In hostal poi scopriamo che erano venuti a prenderci, ma l’ulteriore ritardo del volo aveva scoraggiato l’autista che si era allontanato per un po’. Roba da matti.

PASTI: colazione in hotel; pranzo Cafè Fastfood su Av. San Martin, Ushuaia – 38AR$ in due ; cena Cafè Libertador, Av. Libertador 997, El Calafate – 79AR$ in due.

NOTTE: Hosteria Austral, San Juan Bosco 917, El Calafate – 228AR$ (BBT); tel.+54.02902.491527, hosteriaaustral.com.ar, info@ hosteriaaustral.com.ar.

 

venerdì 6 novembre, EL CALAFATE

E’ il gran giorno del Perito Moreno (ingresso al parco 60AR$ a testa, losglaciares.com). Ci passano a prendere prestissimo perchè il piccolo molo da cui partono le barche per il famoso ghiacciaio dista quasi 80 km da El Calafate (minitrek Perito Moreno 125$ a testa, con Patagonia Backpackers). Costeggiamo il Lago Argentino e poi ci spingiamo verso sud-ovest, sempre più vicini alle vette innevate finchè, all’improvviso, lo vediamo apparire laggiù, bianco a perdita d’occhio. Da lontano sembra quasi piccolino, ma quando il barcone comincia ad avvicinarsi lungo il Brazo Rico capiamo che ci troviamo di fronte ad una creatura immensa: centinaia di metri di ghiaccio, disposti come una barriera alta 60 metri sull’acqua. Uno dei motivi della fama del ghiacciaio è il suo continuo avanzamento; in realtà il Moreno non è altro che la punta di un complesso sistema glaciale che dalle Ande scende verso est e scivola nelle acque gelide del lago. Lago che a sua volta è il frutto dello scioglimento e del conseguente arretramento degli stessi ghiacciai che poi va a erodere. Le famose fratture del fronte del ghiacciaio quindi altro non sono che l’effetto combinato della spinta dei ghiacci da dietro e dell’erosione dell’acqua da davanti.

Attracchiamo di fronte al lato meridionale e subito ci prepariamo per il minitrek. Ci legano i ramponi, ci spiegano cosa faremo e via, posiamo già i nostri piedi chiodati sul ghiaccio più famoso del mondo. Si sale e si scende, si attraversano stretti e ripidi passaggi tra le guglie gelate, si superano voragini piene d’acqua blu. Il bianco purissimo e l’azzurro intenso accendono le crepe di questo gelido titano e noi siamo formichine colorate che piano piano ne attraversano il fianco. Sembrerà strano, ma non è per niente freddo; sicuramente il sole e il movimento aiutano, ma non ci sentiamo mai rabbrividire. La passeggiata dura meno di due ore e si conclude con il brindisi a base di whisky e ghiaccio...estratto direttamente sul posto. In conclusione possiamo dire che la gita è senz’altro turistica, però è un’esperienza unica, emozionante e affatto difficile, che vale la pena provare. Ci sentiamo di sconsigliare il cosiddetto “big-ice” perchè, a detta delle stesse guide, è un percorso del tutto simile, per scenari e difficoltà, a quello breve, solo che dura sei ore. Il nostro trek sarà stato mini, ma è risultato perfetto anche perchè ci ha lasciato il tempo per goderci lo spettacolo del ghiacciaio dalle passerelle che si affacciano sul fronte nord-est. Trascorriamo un’oretta tra una terrazza e l’altra, scattando foto come giapponesi e godendoci il Perito Moreno da tutte le angolazioni possibili. Ogni tanto un boato squarcia il silenzio e avvisa della caduta di qualche enorme ghiacciolo nell’acqua del canale. Secondo noi anche la visita alle passerelle è un must per farsi un’idea più ricca e completa di questo incredibile spettacolo.     

PASTI: colazione in hotel; pranzo lunch-box – 45AR$ in due; cena Casablanca, Av. Libertador, El Calafate  – 112AR$ in due.

NOTTE: Hosteria Austral, San Juan Bosco 917, El Calafate – 228AR$ (BBT); tel.+54.02902.491527, hosteriaaustral.com.ar, info@ hosteriaaustral.com.ar.

 

sabato 7 novembre, EL CALAFATE

Oggi completiamo la visita al Lago Argentino, che copre tutta la parte meridionale del Parque Nacional Los Glaciares (ingresso al parco, da pagare ancora, 60AR$ a testa, losglaciares.com). E’ prestissimo quando saliamo sul bus per il porticciolo di Punta Bandera e, dopo quasi 50 km di strada e spiegazioni della guida, siamo pronti per iniziare la crociera sul lago (crociera Todo Glaciares 95$ a testa, con Patagonia Backpackers). Il programma prevede la navigazione dell’immensa distesa d’acqua dolce fino ai ghiacciai Uppsala, Onelli e Spegazzini, ma ci informano subito che a causa dell’assenza di vento difficilmente riusciremo a vedere i primi due. Il motivo è semplice: i numerosissimi blocchi che si staccano dai ghiacciai, in particolare l’Uppsala, vengono di solito spinti dal forte vento da una parte del canale che li fronteggia, rendendo facilmente navigabile la restante parte; quando non c’è vento gli iceberg (o tempanos, come li chiamano qui) sono liberi di galleggiare su tutta la superficie, ammassandosi e urtandosi e unendosi, fino a bloccare completamente le strette bocche dei canali di accesso. Ci dicono che chi lo desidera può rinunciare all’escursione ottenendo il completo rimborso del biglietto, ma nessuno scende dalla barca. La navigazione è piacevole, anche se all’esterno è decisamente freddo, e trascorriamo gran parte del tempo ad inseguire gli enormi blocchi galleggianti per immortalarne le forme disegnate dall’acqua e dal vento. Prima uno, poi due, poi cinque dieci venti...sono tantissimi e non sappiamo più da che parte guardare. A un certo punto però ci troviamo quasi fermi e sporgendoci di lato capiamo subito perchè: siamo di fronte ad un vero e proprio sbarramento di ghiaccio. I tempanos, liberi dal ghiacciaio, si sono ammassati all’ingresso del canale, urtandosi e riunendosi fino a formare un’unica piattaforma: l’accesso all’Uppsala è impossibile. Ci godiamo quello che comunque è uno spettacolo incredibile (non raro a quanto pare) e apprendiamo che proprio l’Uppsala è il ghiacciaio col massimo grado di ritiro tra tutti quelli della zona: dalle rilevazioni appare infatti chiaro che negli ultimi 20 anni si è ritirato di circa 7 km, quasi 300 metri all’anno. Da non crederci. Questo significa che i visitatori del prossimo anno vedranno, vento permettendo, un fronte completamente diverso da quello di oggi, non solo per forma, ma anche per posizione.

Un po’ delusi, ma comunque soddisfatti, ci prepariamo all’incontro con lo Spegazzini, forse un po’ sottovalutato a causa dell’impari confronto coi più famosi colleghi. Il fronte, decisamente meno ampio di quello del Moreno, supera i 100 metri di altezza sull’acqua e il corpo principale scende sinuoso dalla montagna in una formidabile alternanza di picchi bianchi e squarci blu. La distesa purissima risplende al sole e sembra un fiume in piena che scende impetuoso per riversarsi nel lago che lui stesso alimenta. Non ci aspettavamo un ghiacciaio così maestoso, così emozionante, e per questo forse ne restiamo ancora più impressionati, ma nel complesso è proprio questa una delle immagini che resterà più viva nella nostra memoria.

Per riempire il vuoto lasciato dalla mancata visita iniziale ci portano, dopo lunga e non troppo eccitante navigazione, ai piedi del fronte nord del Perito Moreno, il lato che di solito si osserva solo dalle passerelle panoramiche. Inutile dire che anche dall’acqua fa una certa impressione e il confronto con le barchine che timidamente si avvicinano lo rende ancora più maestoso. Passiamo una volta, poi un’altra e un’altra ancora, e poi ci giriamo e ci ripassiamo vicino, poi capiamo che il motivo di questa lunga, troppo lunga sosta, è legato all’orario di rientro indicato sulle prenotazioni: stiamo “perdendo tempo” per poter rientrare al porto come da programma, senza che nessuno si possa lamentare per un’ora di escursione non goduta. Sinceramente questa soluzione non ci convince; pazienza se la gita è venuta un po’ più breve (il vento non si può comandare), meglio però rientrare un po’ prima piuttosto che oziare sotto il pur bello spettacolo del ghiacciaio.

Un piccolo consiglio sui posti a sedere in barca: ce ne sono tantissimi, uno per ciascuno, ma non sono numerati, e in partenza viene chiesto a tutti di occupare il proprio e di mantenerlo durante tutta la navigazione. Quando però ci si comincia a muovere e ci si alza conviene lasciare qualche oggetto o indumento come segnaposto, perchè non è improbabile tornare e trovare la propria postazione occupata. Niente di grave, sia chiaro, però un posto dove riposare qualche minuto o mangiare con calma può sempre tornare utile. Rientriamo quindi a El Calafate in perfetto orario e, dopo una breve passeggiatina sul viale principale, ci resta il tempo per onorare la prenotazione al celebre ristorante La Tablita. Raccomandiamo la prenotazione, fatta almeno il giorno prima, per non correre il serio pericolo di restare fuori ad aspettare fino a notte fonda. La cena è un trionfo di carni e sapori argentini, la migliore del viaggio, per qualità, quantità e prezzo. Una tappa obbligata quasi come i ghiacciai.     

PASTI: colazione in hotel; pranzo al sacco – 20AR$ in due ; cena La Tablita, Coronel Rosales 28, El Calafate; tel. +542902.491065 – 182AR$ in due.

NOTTE: Hosteria Austral, San Juan Bosco 917, El Calafate – 228AR$ (BBT); tel.+54.02902.491527, hosteriaaustral.com.ar, info@ hosteriaaustral.com.ar.

 

domenica 8 novembre, EL CALAFATE – EL CHALTEN 

Lasciamo El Calafate e il Lago Argentino all’alba, diretti a El Chalten (trasferimento 20$ a testa, con Patagonia Backpackers), all’estremo nord del parco, col minibus che si fa attendere un po’ troppo, risvegliando in noi la vecchia e mai sopita sindrome. Servono quasi tre ore per coprire gli oltre 200 km che ci separano dalla capitale nazionale del trekking, compresa una simpatica sosta all’Estancia La Leona, così chiamata in ricordo della disavventura occorsa all’onnipresente perito Francisco Moreno, attaccato qui senza conseguenze da un puma, una leona appunto. El Chalten è un posticino letteralmente sperduto tra le montagne, un paesotto senza niente che probabilmente fra dieci anni sarà superturistico, ma oggi in confronto El Calafate ci sembra Las Vegas. Però ci piace, perchè davvero qui ci si sente in pace fuori da tutto. Riceviamo il benvenuto e le informazioni principali sul parco all’ufficio dei rangers e, dopo una breve chiacchierata con una delle due giovanissime proprietarie del nostro hostal, siamo già sul sentiero. Ho pensato di testare lo stato di forma della truppa con una prima sgambatina alla Laguna Torre: 22 km, tra andata e ritorno, di saliscendi senza particolari difficoltà. Il tempo non è splendido, ma il trail è facile e la passeggiata piacevole. Ci fermiamo anche ad osservare un picchio gigante che demolisce letteralmente un albero secolare per farsi il nido. Lo scenario è sempre bello, con le cime innevate che ci circondano e, in lontananza, sembrano aspettarci. Solo gli ultimi chilometri, non più al riparo degli alberi nel bosco, ci fanno sentire la forza del vento che arriva dal ghiacciaio portando in volo piccoli aghi gelati. Come il ranger ci aveva anticipato troviamo molte nubi a coprire il panorama in direzione del Cerro Torre, ma non basta certo questo a fermarci. Arriviamo alla laguna in meno di tre ore e, nonostante manchi il protagonista principale, lo scenario è veramente spettacolare: la laguna è bella, verde, con i piccoli iceberg e il ghiacciaio che ci scivola dentro. Ci godiamo la vista, rientriamo con un buon passo, ma all’improvviso il morale dell'equipaggio precipita. Sarà un po’ di stanchezza, sarà che ci siamo svegliati all’alba, fatto sta ci tocca subire l'imperdonabile onta di un sorpasso da parte dei trekkers che ci seguono. Addirittura una cinese senza pretese, tutta vestita di giallo, ci insidia e ci incalza senza che riusciamo a distanziarla. Concludiamo il trail con onore, in circa cinque ore e mezza, tanto che mi sento in dovere di risollevare il morale con una sontuosa cena (consigliatissimo l’Ahoniken, per qualità, quantità, gentilezza e prezzo), arricchita da false promesse e rassicurazioni sui progetti di domani. Non ho mentito, sia chiaro, ho solo evitato di dire che oltre la laguna Capri e il mirador del Fitz Roy voglio raggiungere la Laguna de los tres; ho anche evitato di dire che sono circa 25 km un tantino più difficili dei 22 di oggi, e ho anche evitato di dire che l'ultimo chilometro ha pendenze che dalla mappa sembrano infernali.    

PASTI: colazione in hotel; pranzo al sacco – 18AR$ in due; cena Ahoniken, Av. de Guemes 23, El Chalten – 93AR$ in due.

NOTTE: In.Land.Sis. Posada patagonica, Av. Lago del Desierto 480, El Chalten – 140AR$ (BBT); tel. +54.2962.493276, inlandsis.com.ar, info@inlandsis.com.ar.

 

lunedì 9 novembre, EL CHALTEN

Giornata gloriosa! I 25 km sono in realtà un'amena passeggiatina tra i boschi, con l'ultimo tratto veramente impegnativo, soprattutto in discesa. La difficoltà è accentuata dalla neve e dal ghiaccio che ricoprono gran parte dell'ultimo chilometro. Ma andiamo con ordine. La mattina è fresca e il sole splende su un blu senza nubi quando passiamo sotto il cartello che segna l’inizio del “sendero al Fitz Roy”. La montagna più famosa del parco porta il nome del capitano del Beagle, la mitica imbarcazione di Darwin, nome attribuito da...il signor perito Moreno naturalmente! Ci rendiamo conto che questo colto girovago (perito appunto) si è spinto ad esplorare tutti gli angoli del suo sconfinato paese ed ovunque ha lasciato un segno più o meno evidente del proprio passaggio. Noi invece, come da manuale del bravo trekker, non lasciamo traccia del nostro incedere attraverso i bellissimi boschi patagonici e ci limitiamo a scattare come se ogni foto fosse l’ultima a nostra disposizione. Superiamo ruscelli e passerelle di legno, strettoie tra i rovi e distese battute dal vento finchè, in poco più di un’ora e senza sforzo, siamo al mirador del Fitz Roy. Ce lo godiamo sgombro dalle nubi, bellissimo e maestoso, ma non ci sazia; sappiamo di poter ambire a qualcosa di molto più grande. Procediamo veloci, lo guardiamo riflesso sulle acque della Laguna Capri e ancora non ci basta, continuiamo fino al Campamento Poincenot, nient’altro che una manciata di gelide piazzole per piantare la tenda, con vicino un bagno chimico che definire mortale è poco. Molto meglio condividere i propri bisogni direttamente con la natura. Anche il Poincenot, generalmente visto come tappa utile ad una sosta pranzo, non merita tanta attenzione; consigliamo vivamente di proseguire oltre il fiume per altri 15-20 minuti, in modo da raggiungere una capannina riparata dal vento, con un prezioso e comodo tavolone dove sostare e mangiare qualcosa con calma.

Stiamo bene, il cammino è facile ed avanziamo entusiasti finchè...arriviamo ai piedi dell’orrida salita petrosa. Il cartello segnala 500 metri e un’ora alla vetta, ma mente in maniera spudorata. Ci inerpichiamo inizialmente senza grossa difficoltà, tanto che a un certo punto mi sento dire "dai...non è poi così difficile, abbiamo fatto di peggio". Poi è arrivata la neve. E lì, nel punto più insidioso e crudele, ho rischiato l'ammutinamento. Da buon capitano tratto una resa onorevole e conduco la ciurma in vetta. Ci fermiamo a pochi passi dalla vera e propria fine, ma andare oltre sarebbe suicidio: c'è troppa neve e la passeggiata rischia di diventare pericolosa. Tuttavia siamo praticamente sotto il Fitz Roy e dispiace che nessuna foto riesca a rendere l'idea dell’incredibile maestosità dello scenario. Davvero da commuoversi.

Di solito non ci piacciono i toni epici, ma questa è stata una piccola impresa. Addirittura nel punto più micidiale della discesa (...non della salita) ho sentito le parole "vai te che io mi fermo qui". Devo ammettere che, dopo i pungoli e gli incitamenti e gli insulti, per un momento ho pensato di abbandonare la ciurma tra i ghiacci perenni, ma poi vedo la cinese gialla che arriva, ci guarda e quasi ci sfida, e allora con insensibile cipiglio ricomincio a scendere. E poi, come avrei potuto abbandonare lì la videocamera con tutti i filmati della gloriosa ascesa?! Alla fine comunque, dopo quasi 10 ore di cammino (comprese soste fotografiche, pranzo e trattative) arriviamo all'hostal, un po' stanchini, ma felicissimi. E’ stato un trail magnifico, piacevole, nel complesso non difficile, a parte ovviamente il finale, e la vista lassù non è umanamente descrivibile. E il bello è che non è per niente freddo, a meno che non ci sia vento forte: con un semplice pile e una buona giacca antivento si sta benissimo, anzi...è caldo.

PASTI: colazione in hotel; pranzo lunch-box – 35AR$ in due; cena Ahoniken, Av. de Guemes 23, El Chalten – 77AR$ in due.

NOTTE: In.Land.Sis. Posada patagonica, Av. Lago del Desierto 480, El Chalten – 140AR$ (BBT); tel. +54.2962.493276, inlandsis.com.ar, info@inlandsis.com.ar.

 

martedì 10 novembre, EL CHALTEN – EL CALAFATE

Non possiamo che prendercela, meritatamente, un po' più comoda, in una giornata da trascorrere in attesa del bus che in serata ci riporterà a El Calafate (trasferimento 20$ a testa, con Patagonia Backpackers). Ci sarebbe un sentierino di una ventina di km, ma evito di parlarne se no stavolta ci lascio le penne. Così andiamo al volgarissimo Mirador del condor e di seguito a quello de las aguilas, a soli 2 km dall’hostal. Due sentierini quasi offensivi per noi che li percorriamo ancora ammantati della gloria di ieri! Condor ne vediamo 3-4 da lontano, di aquile ovviamente neanche l'ombra. Consumiamo le ultime scorte seduti al bordo di una lagunetta lungo il percorso e torniamo con calma, pronti per il rientro. Domattina alle 5:30 ci trasferiamo in Cile, al Paine. E mentre sul minibus cantiamo la fine dell'avventura argentina, proprio lì, all'improvviso, la fortuna ci volta le spalle. Dopo aver prelevato noi, addirittura in anticipo, senza indugio raccoglie altri 6-7 tedesconi e via a tutta velocità verso El Calafate, tanto che dico "se continuiamo così in due ore siamo arr..." – phiiiiiiiii. Un fischio che l’autista non sa decifrare; tocca tutti i pulsanti, ma non riesce a capire da dove arrivi quel segnale continuo. Si ferma...e tutti ridiamo un po'. Riaccende, rispegne, riaccende ancora, ma niente, c’è sempre quel fischio. Tocca tutto, pronuncia parole irripetibili e poi, fermi in mezzo al niente, ci chiede la preziosa acqua per dissetare il radiatore, ma non funziona. Poi passa un tipo in macchina, lo ferma, torna da noi e ci dice rapido che tornerà indietro per contattare l'agenzia e sentire cosa fare. Sale in macchina col passante e ci lascia lì, nel nulla patagonico alle otto di sera. Ridiamo tutti, ma dopo un'ora abbiamo smesso anche perchè è quasi buio. Nel pullmino non parliamo e io sto già pensando al bus delle 5 della mattina dopo. Dopo quasi un'altra ora, quando ormai ho selezionato la tedescona più appetitosa per uno spuntino, dal buio nulla si vedono due fari...ed è lui con un altro pullmino che ci porta la salvezza. Adesso ridiamo tutti di nuovo, ma un po' mi dispiace per la tedescona. Poi ci chiedono se vogliamo essere riportati indietro e El Chalten o avanti verso El Calafate: “Avanti!” dico io...ma siamo matti?!...abbiamo il bus alle 5! Per fortuna anche i tedeschi hanno necessità e voglia di andare, così proseguiamo. Ci fermiamo alla Leona e cambiamo ancora bus; alla fine arriviamo all'hostal ben dopo mezzanotte, sani e salvi, con quasi quattro ore per riposare. Però almeno ci siamo.

PASTI: colazione in hotel; pranzo al sacco – 27AR$ in due; cena al sacco – 14AR$ in due.

NOTTE: Hosteria Austral, San Juan Bosco 917, El Calafate – 228AR$ (BBT); tel.+54.02902.491527, hosteriaaustral.com.ar, info@ hosteriaaustral.com.ar.

 

mercoledì 11 novembre, EL CALAFATE – TORRES DEL PAINE

E all’alba arriva il bus Chalten Travel per il Parque Nacional Torres del Paine (acquistato con Patagonia Backpackers, 86$ a testa).Scopriamo subito che il tranfer per il Paine è in realtà un'allegra escursione giornaliera (ecco perchè è così caro), con tanto di guida, per geni che pensano di fare in mezza giornata due foto a un parco grande come mezza Italia. E puntualmente il fato punisce tanta stoltezza: arriviamo con il vento che soffia a 80 all'ora e la pioggia che ci martella, le raffiche ci strappano i vestiti... e lì penso che la fortuna ci ha proprio abbandonato. Sono le 13 quando arriviamo a Laguna Amarga, ingresso, punto chiave e snodo principale dei trasporti del parco (ingresso 15000CLP a persona, da pagare solo in contanti e in moneta locale). Poco prima dell’ingresso c’è una cafeteria molto fornita che serve anche da banco di cambio, per cambiare dollari o euro in pesos cileni; quindi non è così importante avere già la moneta cilena prima di arrivare. Noi per sicurezza comunque avevamo già cambiato qualcosa a El Calafate. Dopo quasi cinque ore di viaggio, con doppio lento passaggio di frontiera (controllano sia in uscita dall’Argentina che in entrata in Cile), decidiamo che non è il caso di fare escursioni a piedi e proseguiamo coi “turisti” sul pullmino a vedere il Paine dalla strada con la pioggia. Il bello è che ci piace anche così, ma pensiamo a cosa potrebbe essere col sole e con la propria macchina. Gli scorci e i panorami sono mozzafiato e lo spettacolo delle vette innevate che sovrastano i laghi glaciali è veramente notevole, pur se offuscato dalle nubi. Ci fanno fare anche una passeggiatina sotto la pioggia fino al Salto Grande, sulle rive del Lago Pehoè, vediamo l’Hostaria Pehoè dall’alto (bellissimo il colpo d’occhio) ed apprezziamo le spiegazioni del simpatico ragazzo che ci guida, più simile a un Cristo con 30 chili di troppo che ad un gaucho della pampa. Ci riportano indietro ed arriviamo al rifugio sotto la tempesta più tempestosa che si possa immaginare. "E’ finita, ci perdiamo il Paine." – penso, mentre mi giro e mi rigiro nel mio conscio letto.

PASTI: colazione in hotel; pranzo al sacco compreso nel transfer; cena al rifugio compresa nella quota.

NOTTE: Refugio Torre Central, P.N. Torres del Paine – 80$ a persona (full board: letto, 3 pasti, coperte); fantasticosur.com, ventas@fantasticosur.com.

 

giovedì 12 novembre, TORRES DEL PAINE 

Ci svegliamo comunque presto, ma il tempo è come l’avevamo lasciato la sera. Non lo dico, ma comincio a pensare all'Isola di Pasqua per tirarmi su il morale (me sventurato...ma lo capirò molto dopo). Andiamo a fare colazione e completiamo l’esplorazione del refugio. Le camere, con sei letti disposti a castello e pareti in cartongesso che non arrivano al soffitto, sono ricavate da un unico grandissimo ambiente dotato di stufe a legna nel corridoio. Ci sono due salette con sedie e divanetti per chiacchierare e la sala dove vengono serviti i pasti; nel complesso è molto più simile ad un albergo che ad un rifugio vero e proprio. Semplice e pulitissimo, con acqua calda tutto il giorno, è una buona soluzione per evitare di farsi rapinare dagli hostales e in fondo anche la condivisione degli spazi è decisamente tollerabile. Possiamo dire che i dubbi, o pregiudizi, che avevamo in fase di prenotazione, si sono rapidamente dissolti. Tuttavia rimane in noi lo stupore per una gestione tanto approssimativa di un simile patrimonio. Non solo manca un vero e proprio servizio navetta interno, ma anche la ricettività non pare adeguata alla domanda. O meglio, le strutture ci sono, ma offire una doppia a 300 dollari è come impedire agli ospiti di prenotare. Di fatto quindi il viaggiatore è costretto a scegliere le sistemazioni in rifugi con dormitori, pulitissimi e ben gestiti, ma per definizione privi dei comfort dell’hostal. E’ vero che per completare i classici percorsi “W” e “Circuito” è indispensabile alloggiare al rifugio, ma si tratta pur sempre di sistemazioni in zone raggiungibili solo a piedi; quello che manca è proprio l’alloggio “normale” nelle aree chiave del parco, come Laguna Amarga, Pudeto, Lago Pehoè, Lago Grey e Rio Serrano. Sia chiaro, non è il problema di adattarsi ad una sistemazione spartana, ma il costo di questa non è adeguato al servizio (spartano appunto) offerto, risultando superiore a quello che ci si aspetterebbe da un hotel. Lo stesso hotel poi, pur trovandosi a pochi metri dal refugio, pratica tariffe assurde, che per principio ci imponiamo di rifiutare. E questo è ciò che dovrebbero fare tutti i visitatori, costringendo questi furbetti ad adeguarsi al mercato dei viaggiatori. Se poi a questo si aggiunge il costo di tutti gli altri inadeguati servizi come bus, navette, pasti, barche, ecco che il quadro si completa in negativo. Basti pensare che al nostro economico rifugio ci fanno pagare a parte, non solo le coperte, ma anche gli asciugamani (1000CLP l’uno); e non solo ce li fanno pagare, ma la mattina presto ce li portano via, costringendoci a ripagarli per averli la sera, quando li avevamo usati appena una volta. Alla faccia della tanto sbandierata tutela ambientale. Capiamo e in parte condividiamo il desiderio di lucrare sul turismo, ma questo ci sembra eccessivo e, quel che è peggio, dannoso per il parco e per l’immagine che lo stesso trasmette.  

E intanto continua a piovere... e sembra non voler smettere mai. Però, ricordando i diari di viaggio letti prima di partire, mi convinco che qui il tempo cambia in fretta e non può durare così. Sabrina mi appoggia; così decidiamo di uscire per fare l’escursione, ma mentre attraversiamo il ponticello che conduce verso il sentiero siamo coperti come due pescatori di aringhe del Mare del Nord. Poi, senza preavviso... il miracolo! Vedo lontano una strisciolina azzurra e... si apre! Dopo mezz’ora siamo nel bosco in maglietta sotto un sole splendente e il cielo più limpido che si possa immaginare. E adesso sì che il Paine, o almeno quel pezzetto che vediamo, ci riempie gli occhi di meraviglia. Dopo aver valutato tutte le possibili soluzioni abbiamo scelto il trail per il Mirador de Las Torres, unico must raggiungibile in giornata dal nostro rifugio. Questo perchè il parco è così vasto ed i servizi così intermittenti che non è tecnicamente possibile da Laguna Amarga fare in un giorno la Valle del Francès, altro sensazionale punto che merita di essere inserito nella visita. Infatti per raggiungere il Campamento Italiano e poi quello Britanico, all’inizio e alla fine della Valle del Francès, occorre prendere prima la barca da Guarderia Pudeto e poi percorrere il sentiero di quasi 8 km che separa il Campamento Italiano dalla Guarderia Lago Pehoè. Solo che se non si dorme in zona è impossibile arrivare in tempo alla barca delle 9 (il primo minibus lascia il refugio alle 8), così non resta che quella delle 12. Il problema è che l’ultimo rientro è alle 18, quindi non c’è il tempo materiale per fare le 6-7-8 ore di cammino fino a un degno mirador. Ecco perchè l'unica soluzione possibile, nel nostro caso, è fare il sentiero per il mirador delle torri, passando per Campamento Chileno e Campamento Torres.

Il sentiero è decisamente semplice, scorre ameno tra i boschi seguendo il fianco del Monte Almirante Nieto, venendo così a trovarcisi dietro, in posizione riparata dal vento e baciata dal sole: un vero spettacolo. In due ore siamo al Campamento Italiano, un'altra ora e mezza e arriviamo alla Base Torres, dove purtroppo Sabrina si ferma per un non meglio definito dolorino al ginocchio sinistro. Le chiedo di preciso cosa sente, ma chiedere a lei di descrivere dei sintomi è come chiedere la dimostrazione dei teoremi di Euclide ad un neonato. Rinuncio quindi a capire il suo malessere (sospetto un’infiammazione tendinea, ricordo della tormentata discesa dal Fitz Roy) e quando mi dice "vai, che io sto un po' qui e poi torno piano piano...tanto mi raggiungi"... non me lo faccio ripetere e procedo.

Sono sempre carico come un mulo, perchè va detto che la signora le ascese le fa solo col marsupietto degli occhiali, però sono libero... finalmente libero come un palloncino sfuggito alla mano. Salgo quasi di corsa, da una roccia all'altra, supero i ruscelletti come un capriolo selvaggio e finalmente non mi volto indietro: la cinese gialla non c’è più e nessuno può raggiungermi. Supero una sudamericana che neanche mi vede, altri due argentini e infine, nel tratto più micidiale... il capolavoro: supero un gruppo crucco con guida andina che si fa da parte e mi lascia passare! La salita in effetti è ardua, il sentiero sassoso è un po’ scorbutico, ma la voglia è tale che in 35 minuti sono in vetta. E lì, senza vento, senza nuvole e col sole glorioso, mi godo le Torri del Paine con altri tre fortunati trekkers. Uno spettacolo grandioso. Le tre cime svettano giganti davanti a noi e la sottostante laguna verde si allunga fin quasi sotto i nostri piedi. Alle spalle e tutto attorno, a completare un quadro da cartolina, è un ininterrotto susseguirsi di creste innevate, altissime e tanto vicine da mettere quasi soggezione.

Rimango lì quel tanto che basta per riempire una scheda di foto e poi torno giù a ritrovare la mia amata che nel frattempo è partita rapida, pensando che per riprenderla sarei sceso come una falciatrice. In effetti vengo giù saltando da un masso all'altro come uno stambecco; in pochi minuti sono alla base e mi precipito nel bosco tra una discesa e una salita che mi sembra di essere Daniel Day Lewis all'inseguimento degli uroni ne L'ultimo dei mohicani. Macino metri di corsa e al Campamento Chileno la raggiungo proprio mentre sta per superare il fiume. Rientriamo lentamente, un po’ per la stanchezza e un po’ per l’infortunio che a questo punto sembra diventato proprio fastidioso, soprattutto in discesa. Per fortuna, o purtroppo, i giorni del trekking sono finiti e avremo tempo di far riposare a dovere il ginocchio dolorante. Ancora una volta concludiamo la giornata provati, ma soddisfattissimi e felici per quanto fatto e visto, con quel sano, piacevole malessere diffuso, che solo la fatica fisica in montagna sa dare. E come sempre ci diciamo dispiaciuti per non avere abbastanza tempo da dedicare a questo meraviglioso parco, che senza dubbio merita una visita più approfondita. Vorrà dire che torneremo.

PASTI: colazione al refugio compreso nella quota; pranzo lunch-box compreso nella quota; cena al rifugio compresa nella quota.

NOTTE: Refugio Torre Central, P.N. Torres del Paine – 80$ a persona (full board: letto, 3 pasti, coperte); fantasticosur.com, ventas@fantasticosur.com.

 

venerdì 13 novembre, TORRES DEL PAINE – PUNTA ARENAS 

Una volta di più ci rendiamo conto che stare al Paine mezza giornata non ha senso, perchè proprio in così poco tempo non si riesce a fare niente. Bisognerebbe davvero spostarsi da un rifugio all'altro ed avere a disposizione almeno tre o quattro giorni interi, sempre che non si voglia affrontare il W o El Circuito, per i quali ne serve qualcuno in più. Per fortuna la giornata è ancora splendida, così ce la prendiamo comoda e andiamo a piedi fino a Laguna Amarga, senza usufruire del pullmino del refugio, ovviamente a pagamento come tutto il resto da queste parti. Per arrivare a Punta Arenas dobbiamo prendere un bus da qui e poi cambiare a Puerto Natales (trasferimenti Paine – Puerto Natales, 8000CLP a testa, con Bus Pacheco, busespacheco.com; Puerto Natales – Punta Arenas, 5000CLP a testa, con Bus Fernandez, busesfernandez.com). Il sentiero, che poi è la strada carrabile che collega l’ingresso al refugio, è molto semplice e non ci impegna, quindi lo affrontiamo con la massima calma, fermandoci a scattare foto, a mangiare e a goderci le ultime viste di questo parco grandioso. Incontriamo anche diversi guanachi ed avvistiamo un paio di aquile cilene, prima di arrivare con larghissimo anticipo alla guarderia. Dopo le 13 cominciano ad affollare l’area di sosta i bus di tutte le compagnie, in coincidenza con i trasporti privati dei vari hostales e refugios; c’è anche il nostro piccolino di Bus Pacheco, che però ci dice di dover aspettare qualche minuto altri passeggeri che arrivano col minibus del nostro stesso rifugio. Nessun problema, diciamo noi, ma poco dopo capiamo che veramente il fato è tornato dalla nostra parte: il pullmino del refugio si incastra nel ponte di ferro a 500 metri dall'arrivo. Ma come è possibile che si incastri?! Semplice, perchè il terreno su cui sorge la struttura è privato e, per evitare di condividere l’esclusiva del trasferimento dei viaggiatori con tutti gli altri operatori, i proprietari hanno mantenuto il vecchio ponte metallico che consente il passaggio, con ben due centimetri per parte, solo ai loro minibus. Dico due centimetri perchè sono proprio due, non uno di più. E allora?! E allora basta che l’autista incontri un sassolino che fatalmente il mezzo non passa più. E i poveretti all'interno ovviamente non possono scendere, perchè le portiere sono laterali e l’uscita posteriore non risolve il problema, perchè comunque poi bisognerebbe scalare il minibus per passarci sopra. Non osiamo immaginare la nostra pazzia se fossimo stato lì dentro, con il bus per Punta Arenas che ci aspetta coi minuti contati. Il nostro uomo infatti aspetta dieci minuti e poi parte, proprio per consentirci di prendere la coincidenza da Puerto Natales. Se fossimo stati prigionieri sul ponte di ferro l'avremmo perso, perchè arriviamo con soli 15 minuti di anticipo, giusto in tempo per ritirare i biglietti.

E’ sera e a Punta Arenas il cielo è coperto. Vediamo poco della città attraversandola in macchina col gentilissimo signor Jorge Alvarado dell’hostal, venutoci personalmente a prendere alla fermata. Ci eravamo tenuti mezza giornata di margine per visitare la pinguinera di Isla Magdalena, nel caso in cui non fossimo riusciti a vedere Punta Tombo, ma per fortuna non ci serve quel tempo, anche perchè scopriamo che le escursioni per l’isola iniziano dal mese di dicembre. Così decidiamo di evitare nuovi inconvenienti a ridosso dei voli importanti anticipando alla mattina, senza sovrapprezzo, il volo Lan Chile per Santiago di domani pomeriggio (acquistato a fine agosto sul sito lan.com, 290€ a testa).

PASTI: colazione al refugio compreso nella quota; pranzo lunch-box compreso nella quota; cena al sacco.

NOTTE: Hostal Victoria, Av. Espana 1291, Punta Arenas – 46$ (BBT); tel. +56.61.225599, hostalvictoria.cl, jorgemalvarado@gmail.com.

 

sabato 14 novembre, PUNTA ARENAS – SANTIAGO  

La colazione all’hostal si rivela molto particolare perchè si svolge sul tavolo della cucina di casa, accanto alla vecchia stufa a legna su cui Jorge scalda qualche fetta di pane, in compagnia della moglie e della centenaria mamma che non smette mai di raccontarci i mesi trascorsi in Italia. Alla piccola tavola si alternano pochi ospiti e molti tra amici e parenti, più o meno impegnati nella manutenzione e gestione della casa; un vero spaccato di vita familiare, tra le chiacchiere, il latte scaldato a vapore e la marmellata che, ci scommettiamo, è quella della nonna. Poi il signor Jorge ci accompagna all’aeroporto (8$ in tutto) da cui, alle 11, decolliamo diretti verso la capitale. Non avendo abbastanza tempo per visitare la città abbiamo deciso di alloggiare in uno degli hotel più vicini all’aeroporto, anche perchè la differenza di prezzo con quelli del centro non è poi tanta e le tariffe dei taxi sono molto...italiane. Così ci accomodiamo gratis in uno dei minibus TransVip che continuamente fanno la spola tra lo scalo e i principali hotel, tra cui il nostro Diego de Almagro Airport. Inutile parlare della struttura e dello shock che ci causa, dopo due settimane di semplicità quasi estrema. Ci danno una camera al quarto piano che da sola potrebbe comodamente contenerne tre di qualunque altro hostal in cui siamo stati; con doppio letto matrimoniale e un bagno che neanche a casa. Siamo addirittura costretti ad usare l'aria condizionata perchè fuori è un po' caldino. Proprio qui, in un lusso quasi eccessivo per i nostri standard, capiamo che l'avventura patagonica adesso è proprio finita. Non serve descrivere la faccia del receptionist quando ci vede arrivare in tenuta-avventura, tutti polverosi dopo 15 giorni di scalate, con un cambio a settimana, in mezzo ai fichissimi che normalmente popolano l’hotel. Da morire dal ridere. E ridiamo ancora di più a cena, quando ci presentiamo nel salone di pizzi e sfavillanti dorature con gli stessi vestiti e le scarpe da trekking. Il pasto, alla carta, è comunque regale e il prezzo molto più accettabile di quanto potessimo pensare. Domattina alle 9:30 però ci aspetta il volo per Rapa Nui, e lì sarà ancora un altro mondo.  

PASTI: colazione in hotel; pranzo in volo; cena in hotel – 26400CLP in due.

NOTTE: Diego de Almagro Airport, Av. Amerigo Vespucio Oriente 1299, Santiago – 123$ (BBT); dahoteles.com, aeropuerto@diegodealmagrohoteles.cl, visitchile.com, sales@visitchile.com.

 

domenica 15 novembre, SANTIAGO – RAPA NUI 

Si parte (volo Lan Chile acquistato a luglio su expedia.com, 474,10€ a testa). Siamo eccitati come scimmie davanti a un caspo di banane e quasi non ci accorgiamo delle sei ore di volo che ci fanno attraversare mezzo Pacifico per arrivare su un’isola sperduta, battuta dai venti e dalle onde, con una storia che ancora oggi è in parte misteriosa. Misterioso è anche l’orario locale, visto che il comandante ci dice che stiamo atterrando alle 11 e invece sono le 13. Si potrebbero fare mille considerazioni sulle tariffe monopolistiche di Lan, unica compagnia che va e viene dall’isola (da Santiago o da Tahiti), ma ci limitiamo a denifinirli simpaticamente maledetti ladroni.

Fa molto caldo e l’umidità è elevata, il cielo è coperto, quasi completamente grigio, ma il verde della vegetazione che circonda il piccolissimo aeroporto è ugualmente splendente. Nello stanzone degli arrivi troviamo subito la signora del nostro residencial, una matrona dai muscolosi tratti polinesiani che ci da il benvenuto buttandoci al collo una collana di fiori freschi. Il taxi che ci porta all’Apina Tupuna è sgangherato come, ci sembra, la strada che percorre, mentre la camera che ci spetta è molto spartana e un po’... trasandata. Niente di orrido, per carità, però ci sembra un po’ lontana dall’immagine che ci eravamo costruiti di alloggio in uno degli ultimi paradisi naturali. Scopriamo ben presto che è tutta l’isola, abitanti compresi, a non essere un classico paradiso tropicale, ma uno sperduto scoglio nel bel mezzo dell’oceano, con un incredibile patrimonio archeologico-culturale non bilanciato da un’adeguata cura, in tutti i sensi. Spioviggina, ma non bastano certo due gocce a scoraggiarci, così prendiamo subito possesso della nostra vettura, noleggiata su suggerimento della padrona di casa (Oceanic Rapa Nui Rent a car, Atamu Tekena s/n, Hanga Roa – 90000CLP per 4 giorni; rapanuioceanic.com). Già dalla breve trattativa col noleggiatore abbiamo l’impressione di trovarci a contatto con una poplazione più scorbutica e meno incline alla simpatia di quelle finora incontrate; anzi, ci sembra sempre di essere sul punto di prendere un qualche tipo di fregatura, a cominciare dal Grand Vitara 4x4 che ci offre, che a noi sembra più un Jimmy con l’adesivo del fratello maggiore.

Non abbiamo tempo di programmare una visita ai siti più importanti, ma decidiamo comunque di dedicarci ad una prima esplorazione dell’isola, così da essere già preparati per le escursioni di domani. Torniamo verso l’aeroporto percorrendo l’Avenida Atamu Tekena, la via principale di Hanga Roa, unico agglomerato abitato e, naturalmente, capoluogo dell’isola. Da lì prendiamo la via costiera e ci dirigiamo verso la zona est, dove si trovano gli importantissimi Rano Raraku e Ahu Tongariki. Lungo la strada godiamo dello spettacolo del mare che s’infrange tempestoso su questo scoglio di roccia vulcanica e vediamo anche i nostri primi moai. Quando poi ci passa davanti il cartello per Rano Raraku ci fiondiamo verso l’interno per dare una prima occhiata a quello che è definito il vivaio (o anche la fabbrica) dei moai. Non serve molto tempo per capire che il nomignolo è quanto mai azzeccato: decine e decine di teste rocciose spuntano dal verdissimo fianco del vulcano e sembrano veramente in attesa di muoversi, di spostarsi in qualche altro luogo, come se aspettassero qualcuno che ormai non verrà più. Piove e c’è vento, così riusciamo solo a guardarli dalla base della montagna, però anche da lontano il sito ci impressiona parecchio e lo segnamo come prima tappa di domani. Dall’alto riusciamo anche a vedere l’Ahu Tongariki, con i suoi quindici moai tutti in fila, che inevitabilmente ci costringe a passare dalle sue parti per dare un’occhiata.

E già che siamo arrivati fin qua, diciamo, proseguiamo verso nord e andiamo a vedere dove si trova la famosa spiaggia di Anakena. Un’occhiata dalla strada e via verso sud, sull’unico tratto asfalatato che taglia a metà l’isola, attraversandola completamente da nord a sud. Alla fine completiamo quasi l’intero perimetro, o almeno la parte principale, in meno di tre ore, soste comprese.

Purtroppo la fortuna non è ancora riuscita a raggiungerci quaggiù e stiamo vedendo tutto un po’ offuscato dalla spessa coltre di nubi, ma non perdiamo la speranza e aspettiamo domani, anche se vedendo le piscine che si sono formate sulle strade qualche leggerissimo dubbio comincia a venirci. Di sicuro ci diciamo contenti di aver programmato quasi tre giorni di visita, anche se, va detto, in una giornata o poco più si riuscirebbe a fare quasi tutto. Ceniamo ottimamente in un ristorantino dall’aspetto quasi modesto poco lontano dal nostro residencial, sullo stesso lungomare.

PASTI: colazione in hotel; pranzo in volo; cena Kona Nehe Nehe Restaurant, Av. Policarpo Toro s/n, Hanga Roa – 19800CLP in due.

NOTTE: Apina Tupuna, Policarpo Toro s/n, Hanga Roa – 65$ (BBT); tel. +56.32.100763, apinatupuna.com, info@apinatupuna.com.

 

lunedì 16 novembre, RAPA NUI

La fortuna dev’essere rimasta imbottigliata nel traffico, pensiamo quando ci svegliamo sotto lo stesso cielo grigio del giorno prima. Almeno però non piove e la luce sembra un pochino migliore. Durante la colazione, non certo abbondante ma accettabile, la padrona di casa ci dice che da quasi due settimane stanno vivendo con questo tempo terribile, con pioggia e vento incessanti, tanto che gli isolani sono disperati perchè un fenomeno tanto prolungato non si era mai visto. Che cu...! – pensiamo spalmando la compatta marmellatina fatta in casa. Dice che, non essendo dotati di impianti di riscaldamento (minima annuale mai sotto i 15 gradi), non riescono nemmeno a far asciugare le cose lavate, men che meno gli asciugamani delle camere. Ci parla di cambiamenti climatici, di mesi piovosi senza pioggia e di mesi secchi (novembre è il meno piovoso insieme a dicembre) con tempo pessimo. Manca solo che ci proponga un sacrificio umano. Ci facciamo un po’ di coraggio parlando con una coppia di signori australiani, lui ranger che, dovendo partecipare ad un raduno di rangers (appunto) in Bolivia, ha approfittato per organizzare con la moglie un giretto di circa quattro mesi attraverso tutto il mondo.

Tra una chiacchiera e l’altra il cielo sembra un po’ più chiaro, così usciamo col nostro fuoristrada sulle piste testate ieri. Con la Lonely in mano e la mappa sul cruscotto capiamo subito di aver sopravvalutato l’organizzazione locale: i nomi delle vie segnati sulle guide in realtà non esistono e le strade sono a dir poco trascurate. Non parliamo di una rete viaria sterrata, con qualche buca qua e là (quella ce l’abbiamo anche noi), ma di vere e proprie voragini che si aprono trasversalmente alla stretta carreggiata, con la terra che da un pezzo non è più battuta e assomiglia più ad una trappola di fango che ad una via carrabile. Che dire, ci aspettavamo una natura selvaggia, paesaggi incontaminati, ma qui siamo quasi all’abbandono preistorico. Non ci sorprendiamo quindi quando incrociamo un paio di veicoli locali impegnati ad uscire da un qualche lago di fango. I siti principali sono segnalati, ma quelli secondari sono tutti da scoprire fermandosi sostanzialmente a caso lungo la via, cercando di orientarsi ricavando le distanze dalle mappe; i nomi delle vie non esistono e quelli che leggiamo sulla guida forse se li sono inventati gli autori. Definirla incontaminata è poco. Però anche tutto questo ha il suo fascino e, una volta superato il primo impatto, quest’isola selvatica riesce a farsi amare proprio per la sua semplicità, per il suo estremistico niente.

Riprendiamo la via costiera meridionale e torniamo al vulcano Rano Raraku per visitare il vivaio. Un consiglio: quando, seguendo la strada che costeggia l’aeroporto, ci si trova circa a metà pista, è più comodo al bivio prendere la deviazione a sinistra verso Anakena, evitando un tratto molto impegnativo, privo tra l’altro di siti particolarmente interessanti; poi, dopo circa 3 km, si riguadagna la costa svoltando a destra. Il fianco della montagna è costellato di statue, in posizione eretta, semisepolte o riverse al suolo, e tutto il sito (ingresso 10$ a persona, valido anche per il sito di Orongo) è attraversato da un sentierino che sale e scende toccando tutti i punti più interessanti, compreso l’interno del cratere. Visti da vicino fanno impressione. Liberi nel loro contesto “naturale”, non più costretti in una piccola foto, sono uno spettacolo che quasi mette a disagio. Libri, documentari, film, niente era riuscito a liberarci dalle perplessità che ci eravamo portati fin qui, sulle pendici del vulcano. Per primo dissolviamo il mistero sulla realizzazione delle statue: sono blocchi monolitici scavati, modellati ed estratti direttamente dalla montagna, ovviamente a mano. Sono ben visibili numerosi moai in varie fasi di lavorazione, ancora legati alla roccia madre, nella vana attesa di essere completati e liberati. Alcuni sono enormi, a dimostrazione che nell’ultima fase la costruzione dei moai era arrivata ad un livello estremo, con una ricerca quasi ossessiva del superamento delle dimensioni precedenti. Il mistero semmai rimane per quanto riguarda il trasporto giù dal pendio di questi mostri del peso di diverse tonnellate. A tal proposito esistono numerose teorie, alcune un po’ fantasiose, di cui noi immaginiamo una combinazione: non sarebbe strano infatti se il moai venisse prima fatto scivolare lungo il pendio e poi innalzato su una sorta di carro e spinto fino al proprio ahu. Questo spiegherebbe anche perchè molte statue sono spezzate, probabilmente a causa delle inevitabili cadute. In ogni caso rimane il senso di stupore di fronte ad opere tanto grandiose quando “complicate”, visti i mezzi a disposizione. Esaminiamo e fotografiamo tutto, godendoci ogni istante di questo luogo incredibile, con quel senso più o meno giustificato di “una volta nella vita” che ci accompagnerà per tutto il soggiorno sull’isola. Ci arrampichiamo anche in cima al vulcano e ne esploriamo il cratere, ora occupato da un lago con piante acquatiche e...pesci (?!?!). E’ incredibile come anche le ripide pareti interne del cono vulcanico siano punteggiate di innumerevoli moai, quasi tutti eretti. Sul sentiero che ci riporta all’uscita incontriamo una sposa; sì, una ragazza chiaramente europea vestita da sposa, il neo marito con lo zainetto in spalla ed un fotografo locale con una fotocamera tanto inadeguata che ci viene da proporci per scattar loro qualche foto decente. Lui ride (e un po’ anche noi), ma lei non sembra proprio lieta, col vento che le prende tutti i veli, il fango che le sporca le scarpine candide e qualche spruzzatina di pioggia che le sistema l’acconciatura. Cosa non si fa per una foto matrimoniale con il roccioso fascino di un bel moai!

Torniamo in macchina e in due minuti siamo all’Ahu Tongariki. Alti sette, otto, dieci metri, i quindici moai si stagliano scuri sullo sfondo azzurro del mare. Abbattuti per vendetta durante le lotte interne prima e dalla furia di uno tsunami negli anni 60, furono rialzati e restaurati da una società giapponese nei primi anni 90, ed oggi costituiscono uno dei must per chi visita Rapa Nui. Tutti in fila quasi sull’attenti, superbi a testa alta, sembrano una piccola truppa o gli all blacks sul punto di cantare l’inno nazionale. Sono tutti diversi, alti o bassi, un po’ tarchiati o slanciati, con baffetti e pizzetto o senza, non sembrano certo divinità, ma persone vere, forse capi o personalità, resi immortali dagli artisti della pietra. Tanto più che, come quasi tutti gli altri moai, non sono rivolti al mare, ma verso l’interno, come se fossero lì non tanto a protezione, quanto a controllo degli isolani, come a dire “Attenti: vi guardiamo.”. E’ facile restare ipnotizzati dal loro fascino semplice, quasi povero, potentissimo, e ad ogni passaggio sotto l’ahu (la sorta di altare su cui poggiano) si notano nuovi e diversi particolari, piccole cesellature simboliche nella roccia durissima. Anche le mani e le braccia (perchè le hanno, anche se li pensiamo sempre solo come teste) sono posizionate in maniera diversa e spesso reggono oggetti stilizzati o rituali. Veramente un sito di grande impatto.

Abbiamo ancora molto tempo e l’isola è così piccola (una sessantina di km per fare tutto il giro) che riusciamo a passare per tutti i siti più interessanti, tra cui la spiaggia di Anakena e l’Ahu Akivi, che comunque rivedremo domani con la luce del mattino. Visitiamo anche gli Ahu cittadini, dopo il porto sulla costa a nord di Hanga Roa, con i cinque bei moai restaurati dell’Ahu Vai Uri ed il solitario dell’Ahu Ko Te Riku, l’unico che ancora conserva i bianchi occhi di pietra corallina. Nel tardo pomeriggio poi ci trasformiamo in turisti e ci dedichiamo all’obbligatoria e fondamentale attività di ricerca del moai da portare a casa, con inevitabile contorno di altri piccoli souvenirs. Alla fine rientriamo con un po’ di cianfrusaglie ed un sasso di 6-7 chili che sarà divertente far entrare nel bagaglio a mano. Già che siamo in giro ci fermiamo a cenare in un localino semplice semplice, ingolositi dalla recensione della Lonely, a gustare le “straordinarie empanadas”: un inganno colossale. A parte che non ha diversi ingredienti, ma anche quelli che ha non sono degni di un pasto decente e le empanadas sono sì grandi, ma si mangiano solo con grande forza di volontà. Segnatevelo ed evitatelo. 

PASTI: colazione in hotel; pranzo al sacco – 6000CLP in due; cena Ariki o Te Pana, Av. Atamu Tekena s/n, Hanga Roa – 11000CLP in due.

NOTTE: Apina Tupuna, Policarpo Toro s/n, Hanga Roa – 65$ (BBT); tel. +56.32.100763, apinatupuna.com, info@apinatupuna.com.

 

martedì 17 novembre, RAPA NUI

Gli australiani ci salutano: se ne vanno sotto lo stesso cielo grigio che hanno trovato all’arrivo, ma ormai non ci facciamo più caso. Li ritroviamo poco dopo al Museo Antropologico, impegnati nell’ultima visita del loro soggiorno (ingresso 1000CLP a persona, museorapanui.cl). Sembrerà impossibile, ma trovare il museo non è per niente facile. Non riusciamo a dare un consiglio utile perchè nemmeno noi sappiamo in che via abbiamo svoltato per arrivarci: sono senza nome e alcune sono così dissestate che sembrano tutto fuorchè strade percorribili in macchina. Anche seguendo le indicazioni ci troviamo un paio di volte a casa di qualcuno o in un vicolo senza uscita, e solo all’ennesimo loop imbocchiamo quella che non avremmo mai pensato di dover prendere e...arriviamo. Quindi che dire, quando andate in direzione del museo e scompaiono le indicazioni, girate a sinistra nella via più infelice e sconnessa che vedete e ci arriverete. Museo che non è affatto grande, e non potrebbe essere diversamente, ma la cui visita è fondamentale per capire qualcosina in più di un popolo ed una terra sperduti in mezzo all’oceano.

Già che siamo in trance culturale andiamo anche a visitare il sito di Orongo, restaurato villaggio cerimoniale posto in cima al vulcano Rano Kau, punta sud-occidentale dell’isola. Attenzione perchè la strada che sale in vetta è insidiosissima anche con la pioggerella fine fine che incontriamo durante l’ascesa, tanto che più di una volta rischiamo di trovarci con l’auto girata in mezzo alla via. Al parcheggio il vento è fortissimo e la pioggia fastidiosa, così troviamo riparo nella piccola biglietteria, dove un custode che pensava tutto fuorchè vedere dei visitatori, ci timbra i biglietti del giorno prima senza neanche staccare gli occhi dall’amichevole del Cile in tv, in diretta dall’Europa. Poco dopo smette almeno di piovere e riusciamo a completare il giro del villaggio, che a dire la verità avevamo già in parte esplorato il giorno prima, entrando come ladri da un buco nel muretto dopo l’orario di chiusura. Il sito è interessante e la vista sull’oceano straordinaria. Lo sguardo si perde all’infinito in un blu sempre più blu, senza ostacoli e senza fine. In basso, guardando oltre lo strapiombo verticale, si vede il famoso scoglio (o faraglione) celebrato anche nel film Rapa Nui, una pellicola non certo memorabile, ma un buon documentario, fedele alle più moderne teorie sulla storia e la vita del luogo. Nel punto più sacro perfino le pietre oltre il precipizio sono decorate e intagliate, mentre le antiche abitazioni ricordano un po’ i nostri nuraghi. Affrontiamo l’infida discesa lasciando più volte che la macchina vada dove meglio crede, controllando più volte lo sterzo come se fossimo in una gara di rally. Riguadagnamo il centro e via verso Anakena, a 15 km dall’altra parte dell’isola; non prima di una sosta al chiosco sulla via che porta alla chiesa, a gustare un paio di buoni sandwiches fatti al momento dalla signora più gentile che abbiamo incontrato. Ecco, ci piace ricordare lo spirito di Rapa Nui come quello della signora dei panini nella sua baracchina all’incrocio.

La spiaggia è molto bella ed è giustamente indicata come la migliore di tutta Rapa Nui (per forza, è praticamente l’unica), con quei cinque moai piazzati proprio nel mezzo a dominare la scena tra le palme e il mare; sarebbero sette, ma di due è rimasto pochissimo. Di sole ovviamente neanche a parlarne, però ci godiamo una mezzora di luce chiara che ci fa apprezzare quasi al meglio la meraviglia di questo luogo incredibile. Più defilato sulla destra c’è anche un gigantesco moai solitario, sull’Ahu Nau Nau, che appare chiaramente diverso dagli altri, sia per forma che per posizione, tanto da sembrare antichissimo rispetto a loro. Anche qui scattiamo foto come giapponesi, da sotto, da lontano, da dietro le palme, col mare e con la sabbia, ed esaminiamo i cinque colossi impettiti più da vicino che si può. Sulla via del ritorno ci fermiamo anche all’Ahu Akivi, il sito con sette moai di medie dimensioni, unico realizzato nell’entroterra e unico con le statue rivolte verso il mare lontano. Guidare è come sempre un’avventura, ma alla fine arriviamo a sera senza danni, con la macchina sempre più sporca e noi sempre più meteoropatici. Stasera decidiamo di fidarci del consiglio degli australiani e proviamo il ristorantino posto alla fine della nostra via verso sud, isolato, davanti al porticciolo dei pescatori: cena non memorabile, ma senz’altro buona e da consigliare.       

PASTI: colazione al resicencial; pranzo al chiosco – 7000CLP in due; cena Tataku Vave, Caleta Hanga Piko s/n, Hanga Roa – 22500CLP in due.

NOTTE: Apina Tupuna, Policarpo Toro s/n, Hanga Roa – 65$ (BBT); tel. +56.32.100763, apinatupuna.com, info@apinatupuna.com.

 

mercoledì 18 novembre, RAPA NUI – SANTIAGO

Non piove, ed è già una notizia, e le nuvole lasciano filtrare una buona luce. Il volo è alle 14:10 quindi, pensiamo, abbiamo tutto il tempo di andare a fare le ultime foto a tutti i siti principali. Il problema è che lo stato delle strade è andato via via peggiorando e dopo due giorni di guida tipo Camel Trophy stamatttina sembra di essere in un videogame: fango, buche larghe e profonde, piscine naturali, la macchina che si gira, mucche e cavalli che entrano in strada dalla selva. Tutto sotto controllo finchè, proprio alla fine come quando si giocava a pallone e c’era sempre quello che faceva l’ultimo tiro sul terrazzo di un vicino, ci viene l’idea geniale di tornare anche all’Ahu Akivi, la cui unica via di accesso è sterrata e con una buona pendenza. A un certo punto, lasciando il sito per tornare sul più rassicurante asfalto, sulla salita melmosa la macchina non riesce a salire. Le ruote slittano, l'auto si gira, non riesco ad andare su e siamo sempre più impantanati. Sabrina di fianco perde la parola e fissa il vuoto. Per fortuna in retromarcia mi libero e scopro poi che la nostra macchinina avrà mille difetti, ma ha una marcia ridotta funzionante e così, con un po' di pazienza e molte parole irripetibili, riusciamo a risalire. Dice Sabrina che fosse stato per lei sarebbe rimasta lì a sgommare nel fango fino a rimanerne sepolta. Mi sembra quasi di vederla...Si potrebbero aprire infiniti dibattiti sulla gestione dell'isola, ma noi restiamo perplessi pensando alla manutenzione delle strade e, di conseguenza, delle abitazioni. Non che ci si aspetti chissà che cosa, ci mancherebbe, però manca proprio quel minimo di cura non tanto per gli altri, ma per le proprie cose, come appunto le strade. Ci sono due vie asfaltate che sembrano formaggio svizzero, le altre sono tratturi abbandonati che comunque anche gli isolani devono percorrere e che quindi dovrebbero, dico dovrebbero, voler tenere almeno praticabili. In fondo non parliamo di centinaia di chilometri di strada e, sempre in fondo, le tariffe e i prezzi non sono poi così bassi, anzi. Lo stesso dicasi per i ristoranti o le guesthouse. Ovviamente non mancano i locali lussuosi, ma sono rarissime eccezioni. Sarà per l'isolato isolamento, però viene da dire che se questi non avessero la fortuna di avere quei due moai, rimarrebbero lì da soli in mezzo alle tempeste oceaniche. Certo che quei due moai sono proprio belli. Anzi, più che belli verrebbe da definirli maestosi, superbi, che quasi, da lì sotto, incutono un certo timore, si prendono un rispetto quasi regale. E anche loro, come gli abitanti, se ne fregano, non guardano il mare, non proteggono l'isola dagli invasori, ma sono girati verso l'interno, quasi a volersi far vedere ed ammirare e onorare. Insomma un'isola veramente unica che, sole o non sole, si fa voler bene nella sua scontrosità.

La lasciamo col suo record di nubi e pioggia, felici di averla vista e dispiaciuti di doverla abbandonare, con quel sottofondo di “una volta nella vita” che nel lusso eccessivo dell’hotel di Santiago ci riempie la mente e il cuore.

PASTI: colazione al residencial; pranzo in volo; cena in hotel – 18200CLP in due.

NOTTE: Diego de Almagro Airport, Av. Amerigo Vespucio Oriente 1299, Santiago – 123$ (BBT); dahoteles.com, aeropuerto@diegodealmagrohoteles.cl, visitchile.com, sales@visitchile.com.

 

giovedì 19 novembre, SANTIAGO – ITALIA  

Ci alziamo vergognosamente tardi e come locuste consumiamo una colazione quasi imbarazzante per abbondanza. La preparazione del bagaglio a mano ci porta via parecchio tempo, soprattutto per la presenza di quel sassolino a forma di moai. Ovviamente gli abbiamo comprato anche il copricapo, che poi copricapo non è, ma la rappresentazione della caratteristica acconciatura polinesiana, con i capelli raccolti sulla testa in una specie di concio. Con il solito TransVip ci riportano all’aeroporto e, dopo mille controlli, una notte e un oceano, rimettiamo piede nella vecchia Europa, non senza l’ultimo brivido di un ancora imprecisato malessere di Sabrina, forse causato da una malefica pallina di salmone servita dagli amici di Iberia.

PASTI: colazione in hotel; pranzo in volo; cena in volo.

NOTTE: in volo.

 

venerdì 20 novembre, ARRIVO 

Finisce così l’avventura patagonica che ci ha portato alla fine del mondo e forse anche un po’ oltre. Un’esperienza fantastica, un viaggio ricchissimo che senza sforzo sale al top delle nostre avventure. Abbiamo visto balene e pinguini, volato fin dove le Ande si gettano nell’oceano tempestoso, camminato sui ghiacciai e tra picchi innevati di incomparabile bellezza, navigato tra gli iceberg e guardato negli occhi le statue più misteriose del mondo sull’isola più remota del mondo. Verrebbe quasi voglia di dire “abbiamo visto cose che voi umani...”. Non servono altre parole, che già ne abbiamo spese troppe, per consigliare questo viaggio e descriverne la meraviglia; solo lo raccomandiamo a chi è davvero motivato e disposto a fare qualche sacrificio, anche fisico, che alla fine, vedrete, risulterà piccolo se confrontato all’inestimabile patrimonio di immagini ed emozioni che, dalla fine del mondo, ci si riporta a casa.

 

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