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i diari dei viaggiatori diari u.s.a.

 

Luca e Patty nel Southwest USA

29 settembre- 16 ottobre 2007

 

 

Con ben 8 mesi di preparazione inizia la nostra avventura negli Usa. Era da un po’ che io, Luca, e la mia ragazza, Patty, progettavamo un bel viaggio.

Da tempo sognavo un on the road nel west Usa, dentro di me sapevo che prima o poi l’avrei fatto, e giunto alla soglia delle 30 primavere finalmente si è avverato il mio sogno!

Per 8 mesi abbiamo impiegato tutto il tempo libero a nostra disposizione per capire cosa realmente potessimo fare e il risultato è stato sicuramente il più bel viaggio fatto sinora, senza dubbio.

8 mesi di navigazione quasi morbosa su internet, di letture di guide e diari di viaggio, di piacevolissimi scambi di idee con gli altri viaggiatori di Forumviaggiatori.com e finalmente ecco arrivare il 29 settembre: è ora di partire!

Seppure l’organizzazione sia stata meticolosa, avendo fatto tutto senza l’ausilio di un tour operator i dubbi continuano a serpeggiare nella mia testa ma con il senno di poi devo ammettere che con un po’ di tempo a disposizione l’organizzazione autonoma di viaggi del genere risulta abbastanza semplice e sicuramente molto più coinvolgente di quanto possa essere un viaggio proposto da un’agenzia.

 

 

29 settembre: Milano- Phoenix

 

IL MIO PRIMO VOLO

Sono le 11,30 quando parte da Linate il primo aereo della mia vita, viaggi tanti ma in aereo mai fino ad ora! Per fortuna Patty è una veterana e mi guida in tutte le varie operazioni aeroportuali. Alle 12,30 locali siamo a Londra, il nostro aereo è puntuale e riusciamo senza problemi a prendere la coincidenza per Phoenix che parte poco dopo. Il mio primo viaggio intercontinentale si rivela più lungo e scomodo di quanto previsto, i pasti a bordo mi fanno capire che in Italia siamo veramente fortunati e che tutto ciò che in 30 anni avevo fantasticato sulle hostess era pura fantasia (come d’altronde sperare che a Malibù ci fossero bagnine come quelle di Baywatch!).

Alle 19 scorgiamo Phoenix, l’impatto dall’alto con la città illuminata è stupendo: siamo arrivati!

Fila chilometrica all’immigrazione con tanto di foto e donazione delle mie tanto amate impronte digitali e via: siamo liberi cittadini italiani in soggiorno negli Usa!

Sono le 20 passate, una navetta ci porta in zona Car Rental, alla Dollar ci dicono che siamo assicurati per tutto tranne che per infortuni personali e assistenza in viaggio, ci offrono queste ulteriori 2 polizze ma non stiamo neanche a sentire i prezzi, con naturalezza decliniamo l’offerta: vogliamo la nostra macchina già pagata con 1 mese d’anticipo dall’Italia, vogliamo partire!

Scendiamo nel garage e troviamo un Pt Cruiser arancio fiammante ad attenderci, io mi metto al posto del navigatore e lascio l’onere del primo approccio con un cambio automatico alla mia sventurata compagna. Fuori è buio e siamo un po’ intimoriti ma fortunatamente le mappe stampate da Mapquest si rivelano più precise di quanto ci aspettassimo e in 15 minuti senza mai sbagliare strada siamo a Tempe dove dall’Italia avevo prenotato un Comfort Inn per la notte.

Veloce check-in, doccia, ridistribuzione funzionale dei bagagli e alle 23 siamo a letto.

 

 

30 settembre: Phoenix- Chinle  (610 km)

 

DANNATO ARMADIO!

Facciamo subito i conti con la dura legge del fuso orario: alle 3 i nostri occhi sono spalancati come fari accesi e non possiamo fare altro che aspettare, aspettare e aspettare…

Alle 6 scendiamo nella hall per la colazione, la nostra prima colazione americana! Io mi butto sulle classiche ciambelle di Homer Simpson e sulle normali martellatine, Patty invece sperimenta…  e a sperimentare qualche volta può andar male: muffin al formaggio di una pesantezza mai vista e una cosa informe ricoperta di simil-marmellata che viene poi accuratamente riposta con nonchalance nel cestino.

Check-out e partenza verso le ore 8, usciamo abbastanza facilmente dalla città, è domenica mattina e per strada non c’è nessuno, e prendiamo l’Interstate che va a nord. Prima tappa prevista: Sedona!

Lasciamo man mano le zone aride e i cactus di Phoenix e ci addentriamo in una valle in cui i colori diventano sempre più rossi e accesi, ci fermiamo ad Oak Creek (a dire la verità noi pensavamo di essere già arrivati a Sedona e solo più tardi scopriremo che in realtà ci mancava ancora un pò!) per espletare bisogni fisiologici ma invece di entrare in un bar entriamo in un ristorante e in men che non si dica ci troviamo a sedere ad un tavolo. A questo punto non possiamo che sperimentare il nostro primo pasto a base di uova strapazzate, bacon e salsicce! Giudizio molto positivo ma alle 10 del mattino abbiamo già fatto 2 pasti abbondanti e ci sentiamo scoppiare!

Purtroppo una fermata così lunga a Oak Creek non era preventivata così decidiamo di tagliare la visita a Sedona (vista dalla macchina ci è sembrata carina ma molto molto turistica) e dirigerci il più velocemente possibile verso Holbrook.

Alle 15,30 siamo all’entrata del nostro primo parco nazionale: la Petrified Forest, facciamo il pass annuale (80 $), veloce fermata al visitor center e comincia la nostra visita: subito una passeggiata al sole cocente dell’Arizona tra tronchi fossili e dune multicolori, poi tutti i vari viewpoints ed infine ci gustiamo il tramonto nella zona del Painted Desert, all’estremità nord del parco.

Usciamo alle 18 e invece di fermarci a dormire a Holbrook decidiamo di proseguire e raggiungere Chinle a circa 200 km di distanza, base ideale per la visita al Canyon de Chelly del giorno seguente.

Siamo fortunati, troviamo un albergo (il Best Western) con disponibilità di camere ma al momento di scaricare i bagagli facciamo una tragica scoperta: abbiamo lasciato giacche e maglioni nell’armadio della camera di Phoenix!!! 2 emèriti stupidi!

Proviamo a chiamare il Comfort Inn e alla 5° telefonata ci confermano che la roba è ancora là: ci toccherà allungare una tappa ma rivogliamo ciò che è nostro e ci accordiamo per il recupero.

Sono le 22 (a Chinle siamo in riserva indiana e l’orologio va messo avanti di un’ora rispetto all’Arizona) ed ormai è già tutto chiuso; per fortuna troviamo un Burger King, prendiamo 2 panini da asporto (probabilmente preparati almeno un paio d’ora prima!) e ci ritiriamo in camera, sono le 24, siamo distrutti e finalmente sotto le coperte: domani si spera giornata più tranquilla!

 

 

1 ottobre: Chinle- Mexican Hat  (250 km)

 

MONUMENT CON LA PIOGGIA

Stamattina ce la prendiamo comoda causa sonno da recuperare e acciacchi vari: Patty ha un mal di gola fortissimo ed io, mago dei medicinali, comincio ad imbottirla di antibiotici e antidolorifici. Check-out e prima vera colazione americana: da dimenticare! Scegliamo a caso e probabilmente scegliamo male così ci capitano nei piatti cose che non avremmo mai voluto vedere… Ci sta bene, la prossima volta staremo un po’ più attenti.

Alle 10,30 siamo al Canyon de Chelly, facciamo la visita completa del south rim con tutti i viewpoints e ci mettiamo 1h e 30 min, a questo punto è mezzogiorno e ci manca ancora la cosa più bella: la discesa nel canyon fino alle White House Ruins. Siamo indecisi, Patty è influenzata e l’ultimo ingresso alla Monument Valley è alle 16,30: cosa fare?

Niente, ci proviamo: drogo la ragazza con una Cibalgina e ci gettiamo a capofitto nel profondo del canyon: in 25 minuti siamo giù! Arriviamo alle rovine, foto di rito, breve riposo e via, sù di nuovo!

Alla fine ci impieghiamo in totale 1h e 10min e questo ci permette di non rinunciare alla Monument.

Vi arriviamo per le 15,15 ma diluvia: entriamo lo stesso, rischiamo più volte di impantanarci; mai mi sarei immaginato di vedere la Monument Valley in questo modo: la pioggia battente e le nuvole basse la rendono quasi un paesaggio spettrale. Cerchiamo di fare delle foto ma la digitale rischia di bagnarsi troppo e spesso desistiamo. Al John Ford’s Point non scendiamo neanche dalla macchina; non si vede nulla! Ormai all’interno del parco siamo in 4 gatti, facciamo il classico giro molto molto lentamente e per magia intorno alle 18,30 smette di piovere ed il cielo comincia da aprirsi. I primi raggi di sole entrano nella valle e noi di contro scarichiamo le pile della digitale a forza di fotografie. Torniamo al John Ford’s, non c’è nessuno, esce l’arcobaleno, il sole sta tramontando: uno spettacolo inimmaginabile! Abbiamo tenuto duro e alla fine siamo stati premiati: non credo capiti tutti i giorni di essere gli unici visitatori della Monument!

Usciamo intorno alle 19,30 perché i Navajo che ogni tanto incrociamo cominciano a guardarci storto, e poi c’è una steak che ci aspetta a Mexican Hat!

Arriviamo al Mexican Hat Lodge alle 20 circa ma scopriamo che il ristorante è chiuso causa pioggia: per la mia prima steak in suolo Usa dovrò ancora aspettare!

 

 

2 ottobre: Mexican Hat- Moab  (290 km)

 

LE MERAVIGLIE DI MULEY E CANYONLANDS

Oggi ci alziamo di buon’ora: ci aspetta una giornata molto piena! Lasciamo una Mexican Hat ancora deserta: in strada solo cani randagi che girano liberamente. Facciamo un paio di foto al San Juan River e partiamo verso nord: prima tappa il Goosenecks State Park. E’ mattina presto ma c’è già gente: peccato, ma ci rifaremo poco più tardi! Ammiriamo dall’alto le anse scavate dal fiume San Juan e ci dirigiamo poi verso Muley Point, saliamo con molta attenzione i tornanti di Moki Dugway (la sera precedente ha piovuto molto e la sterrata non è in ottime condizioni) e arriviamo finalmente al 2° viewpoint di Muley Point: ci siamo solo noi! Lo scenario che ci si presenta davanti è incredibile, facciamo un milione di fotografie poi abbandoniamo la digitale e ci abbandoniamo alla bellezza del paesaggio che abbiamo davanti.

A malincuore dobbiamo ripartire, saltiamo purtroppo la Valley of the Gods causa mancanza di tempo e condizioni della strada sterrata rese difficili dalla pioggia e ci dirigiamo a nord verso Moab.

Facciamo una breve sosta rifornimento e viveri a Monticello, pranziamo in macchina con 2 sandwitch e verso le 13,30 arriviamo al paese. Non ci fermiamo neppure, continuiamo direttamente per il parco di Canyonlands sezione Island in the Sky. Entriamo alle 14,15 e ci dedichiamo subito ai primi viewpoints. Alla fine li vedremo tutti e faremo anche 3 brevi trail: il Mesa Arch (molto bello anche se pieno di gente), l’ Upheavel Dome (un largo cratere che si crede formato da un meteorite) ed infine il Grand View Point Trail, all’estremità sud del parco. Gli scenari che ci si presentano davanti di volta in volta sono mutevoli ed alquanto affascinanti, purtroppo per buona parte della giornata avremo il sole contrario e la bellezza dei vari viewpoints viene un po’ a meno ma non posso negare che il parco sia veramente eccezionale e meriti una visita più approfondita.

Usciamo da Canyonlands alle 18,30 e ci fiondiamo come missili verso un altro parco: il Dead Horse Point State Park. Arriviamo proprio mentre il sole sta tramontando, qui lo spettacolo è indescrivibile, ci vorrebbe una vista a 360° per godere della bellezza di questo panorama. Insieme a Muley Point è stata la cosa più bella della giornata.

Alle 20, dopo aver rischiato un paio di volte di mettere sotto qualche piccolo cervo, arriviamo a Moab, pernottiamo al Super 8 dove un tipo\a alquanto strano\a alla reception attira la nostra attenzione (un uomo vagamente somigliante a Enrico Vanzina, con seno pronunciato, orecchini e targhetta con il nome Karen! Ancora ci chiediamo se fosse un uomo o una donna!) e infine ceniamo da Denny’s. Veloce tappa al market del paese per rimpinguare le nostre scorte di acqua e viveri e alle 21,30 siamo già in camera per goderci il meritato riposo.

 

 

3 ottobre: Moab- Panguitch  (490 km)

 

“IL MIO REGNO PER UNA POMPA DI BENZINA!”

Anche oggi ci svegliamo di buon’ora, sfruttiamo la colazione che ci offre il Super 8 di Moab (le solite 3 ciambelle e un bicchiere di caffè fumante da mezzo litro!), prepariamo i panini al tacchino per il pranzo e via, direzione Arches National Park.

Dopo pochi minuti di auto siamo già all’entrata del parco, sono le 8 e si prospetta una giornata calda, non c’è una nuvola in cielo!

Appena entrati capiamo subito quanto questo parco ci piacerà: ci fermiamo ai primi viewpoints ma siamo contro sole perciò decidiamo di dirigerci fino in fondo, nella zona di Devils Garden. Lasciamo la macchina al parcheggio e cominciamo il primo trail di giornata. In circa mezz’ora arriviamo al Landscape Arch, lungo e sottilissimo, poi proseguiamo per i meno famosi Navajo e Partition Arch, comunque belli ma soprattutto molto meno affollati, ed infine decidiamo di farci una  passeggiata fino a Double O Arch. La camminata è bellissima ma un po’ lunga e siamo di ritorno al parcheggio per mezzogiorno, veloce pranzo al sacco poi ripartiamo in direzione Sand Dune Arch, un arco nascosto tra le rocce e immerso nella sabbia, anche questo bellissimo.

Alle 13 circa siamo nel parcheggio del Wolfe Ranch pronti per intraprendere il trail che ci porterà al Delicate Arch, simbolo del parco. Dopo un primo tratto molto agevole si passa a camminare sulla roccia nuda e qui bisogna fare un po’ più di attenzione. Pur essendo il 3 ottobre fa caldo: le rocce attorno a noi assorbono calore e fanno effetto forno (non oso pensare alla temperatura di luglio e agosto!), per fortuna arrivati in quota comincia a spirare una brezza fresca che rende la camminata molto gradevole. Il trail è bellissimo soprattutto perchè dopo aver costeggiato un alto muro di roccia, tutto all’improvviso si presenta ai nostri occhi uno spazio aperto, soleggiato, con l’arco che domina la scena: non ci sono parole! Purtroppo la leggera brezza si trasforma in vento a forti raffiche che ci fanno un pò tentennare prima di arrivare sotto l’arco: il vento ci sposta letteralmente e bisogna fare un pò d’attenzione perchè non è che ci siano molte barriere di protezione...

Stiamo una mezz’ora in contemplazione, foto di rito e poi si riparte.

Alle 15,30 siamo nuovamente al Wolfe Ranch, ci spostiamo velocemente in zona Windows e facciamo i brevi trail che partono dal parcheggio, compreso quello per il Double Arch (da non perdere anche questo). La visita del parco termina con le foto di rito a Balanced Rock e alle 17 ci mettiamo in marcia  perchè ci aspettano 250 miglia fino a Panguitch. Orario d’arrivo stimato per le 21 ma accade qualcosa di imprevisto. Siamo sulla Interstate 70 e passata la città di Green River distrattamente mi capita di leggere un cartello che dice pressapoco “prossima stazione di servizio 101 miglia”. Cosa? 160 km senza distributori? Impossibile dico io. Possibile, possibile...

Con la benzina siamo veramente al pelo, cerchiamo di consumare il meno possibile ma la strada si rivela un saliscendi continuo e quando la spia della riserva si accende a circa 45 miglia dal distributore su di noi scende il gelo. Usciamo dall’autostrada a 35 miglia dalla prima area di servizio e decidiamo di rischiare: andiamo verso l’interno a cercare una pompa di benzina segnalata a 25 miglia (ma ci sarà veramente?). Siamo in mezzo al nulla! Passiamo un borgo di 3 case, poi un altro ma di benzina non c’è traccia. Quando ormai siamo rassegnati all’idea di fermare qualche macchina perchè ci aiuti (tra l’altro ne passa una ogni 10 minuti!) ecco la più bella visione della giornata: una stazione di servizio! La tensione si tramuta in gioia, stavolta ci è andata bene, ma molto bene. Purtroppo ci andrà peggio più avanti...

A questo punto ci fiondiamo a Panguitch, arriviamo alle 22,15 e al primo motel “vacancy” ci fermiamo e pernottiamo. E’ stata dura ma anche oggi ce l’abbiamo fatta!

 

 

4 ottobre: Panguitch- Zion National Park  (200 km)

 

L’INASPETTATA BELLEZZA DI ZION

Oggi siamo svegliati alle 6,30 dall’autista del pullman parcheggiato davanti al motel che senza mezze misure si mette ad urlare “WAKE UP!” e bussare a tutte le porte: purtroppo anche alla nostra!

Comunque non c’è problema: dobbiamo alzarci anche noi! Rapida colazione in macchina: caffè lunghissimo gentilmente offertoci dal gestore del motel e biscotti. Ci avviamo poi verso il Bryce Canyon National Park. Alle 8 siamo all’entrata, ci fermiamo una mezz’ora al visitor center (c’è anche un piccolo museo) poi ci dirigiamo fino in fondo al parco, a Rainbow Point e da qui cominciamo a risalirlo fermandoci ai vari viewpoints: sicuramente straordinario il Bryce Point che consiglio di tenere per ultimo perchè rischia di far sfigurare gli altri! Alle 12 li abbiamo già visti tutti, rapido pranzo a base di panini al prosciutto precedentemente preparati e siamo pronti per l’unico trail di giornata, il Navajo Loop (dopo i 17 km camminati il giorno prima decidiamo di far riposare un pò le gambe!).

Se devo essere sincero, prima del Navajo Loop il parco non mi aveva dato quello che mi aspettavo (forse per colpa del fatto che prima di partire mi ero guardato foto su foto rovinandomi in pratica la sorpresa nello scoprire le strane formazioni presenti), ma il Navajo è qualcosa di spettacolare: si entra nei meandri del parco che prima si era potuto scrutare solo dall’alto e la sensazione che si prova è unica!

Peccato che giunti sul fondo del canyon alcuni nuvoloni carichi di pioggia arrivati all’improvviso ci costringano ad affrettare il rientro altrimenti la visita sarebbe stata ancora più emozionante!

Sono le 14 circa, usciamo dal parco e ci fermiamo al general store di Rubys Inn (paese appena al di fuori del Bryce) a fare qualche compera e alle 15 partiamo in direzione Zion National Park passando da Mount Carmel Jct.

Alle 16,30 siamo già all’entrata e siccome alloggeremo allo Zion Lodge, ci viene consegnato un coupon rosso con la scritta “GUEST” che ci permette di entrare nel parco con la macchina quando tutti gli altri sono costretti a deviare per la cittadina di Springdale (infatti lo Zion può essere visitato solo attraverso i bus navetta). Arriviamo al lodge ed è meraviglioso, siamo nel pieno del parco, un silenzio surreale, nessuna macchina e per di più una temperatura mite gradevolissima (al Bryce invece eravamo sicuramente sotto i 10° C). La camera è bellissima, mi siedo sul balcone ad ammirare le montagne, non ci sono parole: è un posto che vale i soldi che costa!

Per la prima volta dall’inizio del viaggio riusciamo ad essere pronti per cena ad un orario decente: alle 19 siamo a Springdale, pochi km fuori dal parco. Giriamo un pò la piccola cittadina e facciamo qualche compera poi ci mangiamo una pizza superfarcita e per le 21 siamo già al lodge. Scendiamo dalla macchina ed il nostro sguardo è attirato dal cielo stellato “più stellato” che abbia mai visto. La via lattea si distingue chiaramente come fosse una nuvola sottile e lunghissima, ma non è ancora finita: ci accorgiamo che nel pratino davanti al lodge stanno brucando una decina di piccoli cervi (o qualcosa di simile!) scesi dalle montagne, che, per nulla intimoriti, si lasciano avvicinare e fotografare.

La temperatura è ideale, terminiamo la serata sul balcone a scrutare il cielo e pensare di rimanere almeno un’altra notte...

 

 

5 ottobre: Zion- Page  (220 km)

 

LA MALEDIZIONE DI PARIA

Oggi è una giornata che negli anni avvenire difficilmente dimenticheremo... ma andiamo con ordine.

Saltiamo la sveglia fissata per le 6,40 e stiamo a letto fino alle 8: oggi ci vogliamo proprio riposare! Le ultime parole famose...

Check-out e iniziamo la visita di Zion: partiamo con il trail per le Emerald Pools che si prende proprio di fronte al lodge: la camminata si rivela carina anche se le varie pools sono proprio ai minimi stagionali. Visitiamo la Lower, poi la Middle ed infine la Upper: il tutto ci porta via meno di 2 ore.

Dopo un veloce pranzo al sacco, un paio di telefonate a casa e un pò di internet prendiamo la navetta gratuita e arriviamo fino al capolinea da dove parte la Riverside Walk, una camminata molto semplice che segue il corso del fiume e che ricordiamo solo per i numerosi incontri con scoiattoli che cercano cibo in mezzo ai turisti.

Intorno alle 15 ripartiamo alla volta di Page, sulla strada ci fermiamo ad un parco statale: il Coral Pink Sand Dunes, caratterizzato da dune di sabbia rosa-arancio. E’ un paesaggio nuovo per noi, purtroppo tira un vento fortissimo che ci limita alquanto poichè ad ogni folata veniamo ricoperti di finissima sabbia che si intrufola ovunque: naso, bocca, orecchie...e non dico altro!

Ripartiamo, prossima tappa: Paria Ghost Town, che presto si rivelerà per noi una città maledetta!

Intorno alle 16 circa prendiamo la sterrata che in 4/5 miglia ci dovrebbe portare a destinazione. Non c’è nessuno, la strada è bella ma comincia a piovere e sale anche la nostra preoccupazione, entra sempre più nel nulla e lo scenario che si presenta davanti a noi è suggestivo: montagne dalle rocce multicolori, saliscendi, terra rosso fuoco. Ad un certo punto arriviamo ad uno spiazzo con un cartello e delle fondamenta e qui, 1° errore: non scendiamo a leggere. La città l’avevo già vista in foto e mi ricordavo edifici di cui qui non c’è traccia, ergo: la città è più avanti! Continuiamo, ma la strada si fa sempre più brutta, per fortuna ha smesso di piovere ma non ce la sentiamo di rischiare di impantanarci; scendiamo e proseguiamo a piedi. Arriviamo ad un cimitero, qui sono sepolti alcuni degli abitanti della città vissuti nella seconda metà dell’800, entriamo e leggiamo alcune iscrizioni: ci sono uomini, donne, bambini, non è nulla di scenografico, è tutto vero! Luogo e atmosfera sono da film thriller, il cielo è grigissimo: facciamo qualche foto e un pò intimoriti torniamo alla macchina. Ci fermiamo nuovamente allo spiazzo di prima e qui la maledizione della città si abbatte su di noi! Patty scende a leggere mentre io a macchina accesa l’aspetto dentro. Tutta sconsolata mi urla “Paria era qui, nell’agosto 2006 dei vandali l’hanno bruciata!” e continua a leggere suggerendomi di spegnere la macchina. Spengo, apro la portiera per scendere un attimo anch’io e quegli stupidi sistemi d’allarme delle auto d’oggigiorno cominciano a suonare! Allora io cosa faccio? Disinserisco leggermente la chiave dal quadro in modo che non risulti in “ignition” e smetta di sturarmi i timpani con quel suono maledetto! Involontariamente sfioro il tasto della chiusura centralizzata ma non ci do troppo peso, esco un attimo lasciando la portiera aperta pensando: rientro subito. Ma senza che me ne accorgessi Patty entra per prendere la macchina fotografica e chiude la portiera! Ecco fatto: ci siamo chiusi fuori! Ma dannate auto tecnologiche! Voi e tutti i vostri sistemi d’allarme!

Il panico ci assale, siamo in un posto sperduto e tutto ciò che abbiamo è chiuso dentro alla macchina!

E ora cosa si fa? La prima soluzione che mi viene in mente è quella di rompere il vetro: ci provo sia con una pietra che con un punteruolo di metallo, colpisco con tutte le forze che ho in corpo, mi viene quasi da piangere, nulla da fare, si graffia ma non cede. Non dico lo sconforto che ci assale in quei momenti, siamo disperati: cosa fare?

L’unica possibilità è rientrare sulla strada principale, ma sono più di 4 miglia su una strada che è tutto un programma e il sole ormai comincia a calare. Urlando contro il cielo cominciamo a camminare, arrabbiati e impauriti.

Patty non ce la fa, mi dice di continuare da solo, lei verrà del suo passo. Io dapprima non accetto poi penso che se fa scuro sulla strada non si fermerà più nessuno ad aiutarci e parto a passo spedito. Intorno a noi si scatena di tutto, tempesta, vento (naturalmente contrario), e la strada non si vede: troppi saliscendi.

Ci metto tanto, la salita è spesso durissima e il vento mi spinge indietro, ho solo un T-shirt e una maglia e ho freddo. Comincio a pensare a Patty dietro di me, se faccio molta fatica io, immaginiamo lei! Comincio a correre per fare il prima possibile ma la strada è interminabile. Finalmente dopo non so quanto vedo le macchine in lontananza ma ci vorrà ancora più di mezz’ora: non arrivo mai!

La strada la raggiungo che è quasi buio, passa un’auto ogni 2/3 minuti, i primi tentativi di richiesta aiuto vanno a vuoto (e come biasimarli: voi vi fermereste in mezzo al nulla per dare aiuto ad uno di quasi 2 metri che sembra uno squilibrato?).

Poi succede il miracolo, un signore (per me un eroe) si ferma, nel mio inglese affaticato gli spiego tutto e lui accetta di aiutarci. Mi carica e andiamo a recuperare Patty che nel frattempo si era avvicinata molto alla fine della sterrata (in seguito mi racconterà che per farsi forza ha parlato tutto il tragitto con montagne, piante e animaletti che le attraversavano la strada: un evidente segno di pazzia!).

Chandler, questo è il nome dell’eroe, prova a chiamare aiuto con il cellulare ma naturalmente non c’è campo. Facciamo circa 15 miglia in direzione Page e ancora in mezzo al nulla c’è un ristorante, ci fermiamo, chiediamo aiuto e la moglie del gestore ci porta un telefono con trasmittente e non so cos’altro del tipo di quelli che usavano nella seconda guerra mondiale per le comunicazioni tra base e fronte! Al 3° tentativo riesce a prendere la linea e chiedere aiuto. Ringraziamo Chandler di cuore e ci facciamo lasciare il suo indirizzo: gli spediremo un bel pacco regalo dall’Italia!

Rimaniamo al ristorante, gentilissimi ci offrono qualcosa da mangiare ma abbiamo gli stomaci chiusissimi. I pochi clienti (tutta gente semplicissima e vestita alla country) si avvicinano a noi due, seduti su una panca e bagnati come pulcini, ci chiedono cosa sia successo e ci rincuorano (di loro ho il miglior ricordo di questo viaggio).

Dopo 45 minuti circa su un pick-up enorme arriva un tale che sembra uscito da un film: un Chuck Norris con la faccia un pò più simpatica! Si fa 2 risate assieme a noi, ci carica, trasborda il suo cane nel cassone di dietro e si avvia verso la città maledetta.

Noi 2, mogi mogi, capiamo che stiamo vivendo un’avventura incredibile! Pick-up scassato, americano vero con tanto di lattina di birra al volante e musica country di sottofondo: non lo dimenticherò mai!

Arriviamo alla macchina, sotto la pioggia tira fuori i suoi attrezzi e in 2 minuti la macchina è aperta senza un graffio. Tante tante grazie e 160 $ per il disturbo ma sono i soldi meglio spesi di tutto il viaggio!

Felici ma distrutti arriviamo a Page dove pernottiamo al Motel 6. La giornata è finita, abbiamo vissuto dei momenti da panico e possiamo veramente dire che, nella sfortuna, siamo stati fortunati: bastavano un paio di miglia in più di distanza e ci saremmo fatti la notte in mezzo ad un deserto con un freddo cane e una pioggia battente!

 

 

6 ottobre: Page- Grand Canyon Village  (230 km)

 

IL GIORNO DOPO LA TEMPESTA

Stamattina non abbiamo proprio voglia di svegliarci. In programma c’è la visita all’Antelope Canyon ma la stanchezza è tanta e il morale molto basso: ci interroghiamo sul da farsi per il vetro preso a pietrate e colpi di punteruolo, abbiamo già speso 160 $ per i soccorsi e spenderne molti di più per la riparazione del danno ci spaventa. Ci prendiamo un pò di tempo per riflettere: siamo ancora scottati da quello che è successo, ci sentiamo insicuri.

Abbiamo 2 possibilità: essere sinceri e pagare il danno (sì, ma quanto?) o simulare un atto di vandalismo e sperare che non ci sia da tirare in ballo la Polizia per una denuncia (Patty è certa di non riuscire a mentire).

Per ora non decidiamo nulla di certo ma la mia idea è quella di tenere un profilo basso e cercare di farlo sembrare causa di vandali, poi nel caso ci facessero troppe domande accettare di pagare il danno e defilarsi il prima possibile.

Alle 9 ci sbattono fuori dalla camera e noi vaghiamo alla ricerca di una caffetteria per fare una colazione normale. Entriamo in un centro commerciale e troviamo uno Starbucks, io mi tuffo finalmente su un croissant e un caffè (rovente) e per un pò do pace allo stomaco. Mentre Patty telefona allo Zion Lodge per spiegazioni su un addebito che non ci risultava ma che poi si è rivelato essere errato, io faccio spesa. Sono ormai le 10,30, oggi non abbiamo proprio voglia di correre, a nostro malincuore saltiamo l’Antelope Canyon (non me lo perdonerò mai) ma vista la situazione non ce la sentiamo proprio.

Ci fermiamo però poco fuori Page all’Horseshoe Bend, un’ansa formata dal fiume Colorado veramente affascinante soprattutto per la colorazione che assume l’acqua.

Ripartiamo e verso le 13,30 siamo a Cameron, una puntata al Trading Post per un pò di shopping e via verso il Grand Canyon.

Entriamo al parco verso le 15, ci guardiamo tutti i viewpoints della parte est (Desert View) ma tira un’aria gelida e considerato che le nostre giacche e maglioni pesanti sono ancora a Phoenix non ci godiamo lo scenario fino in fondo. Niente, recupereremo domani.

Alle 17,30 siamo allo Yavapai Lodge, all’interno del parco, le camere sono un pò vecchiotte ma carine, diciamo che abbiamo visto di peggio...

Doccia ristoratrice, quadruplo strato di vestiti (fuori ci sono 3°C !!!) e verso le 19,30 ci dirigiamo al vicino paese di Tusayan dove finalmente vorremmo mangiare una steak!Ci fermiamo ad una steakhouse pluriconsigliata da amici vari, la Yipee-ei-o!!, attendiamo una mezz’ora buona perchè si liberi un posto (è sabato sera) ed ecco la tanto agognata bistecca, servita assieme a fagioli, insalata, patata al cartoccio e pannocchia di mais al burro: tutto delizioso! Cena completa al prezzo di 55 $ in due e ci riappacifichiamo con la cucina americana.

Alle 22 siamo allo Yavapai, per strada non c’è più nessuno: sembrano le 4 di notte in Italia!

 

 

7 ottobre: Grand Canyon

 

DI CORSA NELLA PANCIA DEL CANYON

Oggi in programma c’è un lungo trail nel canyon: il Bright Angel fino a Plateau Point ma già la sera precedente decidiamo di non farlo ma di scendere solo un pò, sia per le non eccezionali condizioni di salute sia per lasciare tempo agli altri viewpoints. Ci alziamo perciò verso le 8,30, veloce colazione alla caffetteria dello Yavapai Lodge e in macchina ci trasferiamo davanti al Bright Angel Lodge dove alloggeremo stanotte.

Ci dirigiamo verso la navetta che ci porterà a Hermits Rest passeggiando sul rim ma vediamo in lontananza il trail che dovevamo fare e come colpiti da un’enorme masso in testa facciamo dietrofront: decidiamo di scendere ugualmente, almeno fino a dove potremo dato che è già molto tardi. Partiamo per le 11, il trail si rivela semplice in discesa ma lascia pesanti dubbi su come possa essere in salita... Intanto scorgiamo il sentiero che porta a Plateau Point ma sembra molto molto lontano. Alla seconda Resthouse, dopo 3 miglia, Patty si ferma, sono le 12,30 e ha paura di non riuscire a risalire in tempo prima del tramonto del sole. Io invece continuo, ce la voglio fare. Sfrutto al massimo le mie doti di discesista: lascio che i 90 chili mi portino a valle e in mezz’ora sono a Indian Gardens, 4 crackers, 1 sorsata d’acqua e via verso Plateau Point. La strada ora è tutta in pari e in meno di mezz’ora sono a destinazione. Lo spettacolo è stupendo: siamo solo in 2, ci sfruttiamo a vicenda per le foto di rito, 10 minuti di assoluta contemplazione e via, non posso perdere altro tempo perchè sono quasi le 2, il sole tramonta alle 17,40 ed io non ho idea di quanto ci metterò a risalire!

Il primo pezzo fino alla Resthouse dove ho lasciato Patty è massacrante: più si scende più il calore si fa sentire e se in cima si stava bene con maglia e pile a Indian Gardens ci saranno almeno 30 gradi! Con le gambe a pezzi arrivo in cima alle 16,30 (ci ho messo in tutto 5h e 30 min, non male dato che su tutti gli opuscoli la camminata che ho fatto è segnalata con 10/12 ore di percorrenza!).

Alla fine ho percorso quasi 20 km con un dislivello tra rim e Plateau Point di 1000 metri. Ne sono fiero!
Recupero la donna che intanto si sta riscaldando al bar, check-in al Bright Angel Lodge e doccia bollente. Usciamo dal parco in direzione Tusayan in cerca di un Taco Bell (oggi abbiamo proprio voglia di cucina messicana). Non lo troviamo così ritorniamo alla steak del giorno prima e ordiniamo nachos e tortillas. Alle 21,30 siamo a letto: domani ci aspetta una levataccia!

 

 

8 ottobre: Grand Canyon- Las Vegas  (850 km)

 

IL RECUPERO DEI PANNI ABBANDONATI

La sveglia suona alle 5! Semi incoscienti ci alziamo e liberiamo la camera: fuori ci sono 0 gradi! Oggi in programma c’è un “salto” a Phoenix per il recupero dei vestiti lasciati la prima sera, poi a seconda dell’orario fatto decideremo cosa mantenere dell’itinerario originario e cosa tagliare.

Alle 6,15 lasciamo definitivamente il Grand Canyon: bello, ma sinceramente ci aspettavamo di più (forse avendo tralasciato una discreta parte di viewpoints ci siamo anche persi qualcosa ma l’idea che mi sono fatto è che l’estensione di questo parco è tale da non poter essere apprezzata interamente dall’occhio umano). Forse il giro in elicottero avrebbe risolto questi problemi ma causa tempo e soldi spesi per altri, meno nobili scopi non ce la sentiamo e proseguiamo il nostro viaggio.

Arriviamo al Comfort Inn di Tempe alle 9,30 ma la ragazza alla reception decide di farci venire un infarto e ci confessa di non avere idea di dove possano essere i nostri vestiti. Arriva un responsabile che sarà poi costretto a svegliare il ragazzo che faceva il turno di notte quando telefonammo da Chinle e alla fine i nostri panni saltano fuori:erano solo stati messi in una busta con il nome di un’altra persona! Noi eravamo quasi pronti per fare una strage...

Ripartiamo, ci fermiamo solo a dare una veloce lavata alla macchina: stasera a Las Vegas abbiamo in programma di andare alla Dollar e vedere cosa si può fare per il finestrino...

Pranziamo in viaggio con panini fatti sul momento (non possiamo permetterci soste) e alle 14 siamo sulla Route 66. Ne percorriamo circa 20 km ma ad essere sincero: non c’è veramente nulla!

Arriviamo a Seligman, foto di rito al simpatico paesino, qualche acquisto nei vari negozi di souvenir e incontro finale con un allegrissimo Angel Delgadillo, una vera celebrità da queste parti e non solo. E’ grazie soprattutto a lui se la Route 66 non si è spenta definitivamente!

Ripartiamo e dopo una breve tappa a Kingman ci dirigiamo verso la capitale del peccato: Las Vegas! In mezzo al deserto veniamo fermati: c’è un posto di blocco con 2 poliziotti e 2 militari che controllano tutti i veicoli che passano. “Chissà cosa sarà successo!” mi chiedo, poi capisco tutto: siamo vicini all’Hoover Dam, la grande diga sul Colorado, che immagino sia diventata obiettivo sensibile dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre.

Arriviamo a Las Vegas verso le 17,30, forse il momento di maggior traffico, a guidare è Patty (specialista dei centri urbani) e perde circa 20 chili! Per fortuna tutte le strade portano alla Strip e abbastanza agevolmente arriviamo al nostro hotel: il Tuscany Suites&Casino.

La camera è enorme, almeno il triplo di quelle provate finora: l’umore è alle stelle!

Lasciamo le valigie e ripartiamo in direzione aeroporto, destinazione Car Rentals. Io sono abbastanza convinto di provare a simulare un atto di vandalismo ma senza addentrarci troppo nella questione: se a loro va bene ok altrimenti siamo anche pronti a pagare purchè la questione si concluda! Alla Dollar ci dicono che se la macchina è “drivable” e se non ci sono vetri all’interno allora possiamo tranquillamente continuare e sottoporre la questione ai cugini di S. Francisco: grazie tante!

Torniamo in camera, ci cambiamo e via di corsa. In macchina percorriamo tutta la Strip illuminata: chi l’ha già vista sa le emozioni che si provano!

Stasera però la destinazione è Downtown per assistere alla Fremont Street Experience. Parcheggiamo nelle vicinanze e ceniamo al buffet del Main Street Casino: 10 $ e pancia strapiena, un’ottima scelta! Usciamo alle 22, giusto in tempo per gustarci lo spettacolo di luci e colori che migliaia di lampadine inscenano ogni ora sulla cupola di Fremont Street: bellissimo!

La scelta di passare la serata a Downtown si è rivelata azzeccata: qui rispetto alla Strip tutto è meno dispersivo e più accogliente, inoltre i prezzi sono veramente competitivi!

Siamo però stanchissimi, alle 23,30 siamo già sotto le coperte: domani ci aspetta una giornata intera da dedicare alla Strip, è meglio essere riposati!

 

 

9 ottobre: Las Vegas

 

GAMBERI INDIGESTI

Oggi ci svegliamo con calma, mentre la povera Patty fa un pò di bucato nel lavandino del bagno, io scendo per procacciare la colazione. Alle 10 usciamo in direzione Strip, sfruttiamo l’ottima posizione del nostro albergo/casinò e in una decina di minuti siamo già sotto al Caesars Palace. Visitiamo praticamente tutti gli hotel della Strip ad eccezione dei più lontani (Circus Circus, Stratosphere,...). Il giudizio finale è: tutti molto pacchiani ma divertenti ed affascinanti se ci si cala nella giusta mentalità!

Facciamo un pò di compere, giriamo negozi su negozi, e in men che non si dica sono già le 19: è ora di cena! Stasera scegliamo il buffet del Flamingo, rinomato soprattutto per l’ampia scelta di carni e pesce. Sulla carne proprio non posso dire niente (ero troppo pieno, non ce l’ho fatta neanche ad assaggiarla), per quanto riguarda il pesce i presupposti sono buoni (mucchi enormi di gamberi, cozze, granchi, vongole...) ma alla fine devo ammettere che le aspettative vengono in parte tradite. Il problema è sempre lo stesso: le basi di partenza le hanno ma il modo di cucinare le pietanze o di affogarle in strane salse rende il tutto “non buono” come sarebbe da noi! Morale della favola, passo metà cena a nascondere i gamberi che non riesco più ad infilare in bocca nel mucchio degli scarti facendo attenzione a non farmi scoprire e passando la mezz’ora più divertente della serata!

Alle 21 siamo di nuovo sulla Strip, il tempo necessario per assistere ad un paio di spettacoli (le fontane danzanti del Bellagio e le Sirene al Treasure Island) e per perdere una decina di dollari alla roulette e sono già le 23, ora di rientrare. La stanchezza infatti si fa sentire: anche oggi avremo camminato almeno una quindicina di km e le gambe cominciano a fare un pò male! A mezzanotte passata siamo pronti a goderci l’ultima notte di sonno nel nostro king bed di Las Vegas. Domani ci aspetta la Death Valley.

 

 

10 ottobre: Las Vegas- Stovepipe Wells  (260 km)

 

DEATH VALLEY DA OSCAR!!!

La sveglia suona alle 7,30, un saluto alla nostra spaziosissima camera del Tuscany, colazione a base di muffins e spremuta d’arancia ed è già ora di partire verso la Death Valley. La prima tappa di giornata è però l’Outlet Center poco a sud della Strip. I prezzi, soprattutto con il cambio molto favorevole, sono veramente bassi. Ci limitiamo ad un paio di negozi (Nike in primis) poi causa mancanza di tempo dobbiamo ripartire, non prima di esserci sbafati 2 tranci di pizza da Sbarro.

Alle 11,30 siamo in viaggio, passiamo da Pahrump e prendiamo una scorciatoia che ci porta nel nulla assoluto ma che alla fine si rivela vantaggiosa.

Alle 14 siamo all’entrata est della Death Valley, non ci sono barriere ma solo un cartello che ci esorta a pagare più avanti: noi abbiamo il pass quindi non ci preoccupiamo più di tanto della cosa e continuiamo tranquilli. Qui il nulla regna sovrano, non c’è niente per km e km se non paesaggi aridi in cui la vegetazione scarseggia, ma il bello è proprio questo: è un posto affascinante, in cui ci si mette in pace con se stessi e si respira un’aria di insolita tranquillità. La temperatura è ottimale (35° C), tira un vento forte e secco che rende il tutto ancora più caratteristico e, a differenza di quelli che visitano il parco nel periodo estivo, abbiamo la possibilità di passeggiare tranquillamente senza rischio di insolazioni.

Arriviamo a Dante’s View e da qui ci facciamo una prima idea di quello che ci aspetterà più tardi (è infatti una vista dall’alto di tutta la valle), poi Zabriskie Point, che non ci ha particolarmente colpiti, ma forse l’orario non è dei migliori per gustarsi al meglio questo viewpoint, ed infine, all’altezza di Furnace Creek, prendiamo la strada che porta a Badwater. Ci fermiamo al Devil’s Golf Course e rimaniamo affascinati dai paesaggi lunari che ci circondano. Arriviamo poi a Badwater, a quasi 86 metri sotto il livello del mare, dove una lunga pista di sale ci accompagna fino ad una vastissima pianura bianca. L’acqua è pochi cm sotto di noi ma il fondo ha una compattezza granitica e sembra di essere sul cemento. Naturalmente la macchina fotografica deve fare gli straordinari: quando mai più mi capiterà di essere in un posto del genere?

Nel ritorno verso Furnace Creek prendiamo poi l’Artist Drive, una stradina ben tenuta che porta all’Artist Palette in cui si possono ammirare rocce dai variegati colori, proprio come se fosse una tavolozza di un pittore. Anche qui il paesaggio che ci circonda è da Oscar, purtroppo una macchinata di francesi rovina in parte l’atmosfera che si respira ma questo non basta a farci desistere: rallentiamo, aspettiamo che siano già a km di distanza e riprendiamo il giro con la solita tranquillità che ci ha contraddistinto per tutta la giornata.

Arriviamo a Stovepipe Wells giusto in tempo per goderci il tramonto sulle Sand Dunes che caratterizzano la zona e pernottiamo all’unico motel di questo piccolissimo borgo nel nulla fatto di un saloon, un ristorante, un general store e soprattutto... una piscina!

Ci mangiamo una buona steak nel caratteristico ristorantino del villaggio, l’atmosfera è tranquilla e amichevole e la spesa è assolutamente nella media. Per strada ormai non passa più nessuno, ci sembra di essere isolati dalla civiltà e questo non può che farci piacere!

Domani ci aspettano i monti quindi siamo sotto le coperte molto presto: vogliamo essere riposati nel caso il Tioga Pass sia chiuso e ci tocchi allungare di 300/400 km!

 

 

11 ottobre: Stovepipe Wells- El Portal (470 km)

 

DA ZERO A 3000 METRI SENZA NEANCHE ACCORGERCENE

Oggi la sveglia suona alle 6,30. L’alba sulla Death Valley è un qualcosa di straordinario, tra l’altro noi abbiamo la fortuna di avere la camera con vista sulle dune di sabbia e questo rende il momento ancora più esaltante.

Ci sembra di essere tornati indietro di cent’anni, per strada non passa una macchina e Stovepipe Wells si dimostra essere ancora più isolato di quanto in realtà sia. Bellissimo!

Check out, colazione a buffet voto 10 (forse la migliore di tutto il viaggio) e tiratona d’orecchi alla Routard che indica questo posto come una struttura mediocre, con cucina mediocre e personale scortese: per noi niente di più sbagliato!

Alle 8 partiamo in direzione ovest, verso la Sierra Nevada. Ci guardiamo dalla macchina il resto della Death Valley e... purtroppo abbiamo fretta, altrimenti ci fermeremmo ad ogni spiazzo per immortalare il paesaggio che ci circonda!

Arrivati a Lone Pine prendiamo la 395 direzione nord, ci fermiamo a Bishop dove facciamo un pò di spesa e visitiamo l’ufficio del turismo per avere notizie sul Tioga Pass: per fortuna la strada è stata riaperta dopo una leggera nevicata e il sole che splende in cielo ci rende tranquilli!

Alle 12,30 siamo a Mammouth Lake, dedichiamo 1 ora circa al Ralph Lauren Outlet, non ne possiamo fare a meno: i prezzi sono troppo vantaggiosi per farsi scappare l’occasione! Risultato: 150$ io e 180 Patty, ma di cose ne abbiamo comprate veramente tante!

Pizza con peperoni, salsiccia e cipolla (così grossa che metà rimane nel piatto, anzi, nella “doggy bag” per la nostra cena!) e verso le 14 ripartiamo per lo Yosemite.

Superiamo velocemente il Tioga Pass (mai avrei pensato di essere a più di 3000 metri!) e passiamo un paio d’ore sulla Tioga Road dove facciamo qualche piccola passeggiata e visitiamo alcuni dei tanti laghi che caratterizzano la zona (il Tenaya Lake su tutti).

Alle 17,30 lasciamo il parco e ci dirigiamo ad ovest verso El Portal dove alloggeremo per 2 notti al Cedar Lodge. La struttura è grande e anche questa in mezzo al nulla se non alberi e monti!

La scelta comunque si rivela azzeccata in quanto il motel si trova a 15 minuti dal parco ed inoltre è dotato di piscina coperta ed idromassaggio che naturalmente sfruttiamo a dovere!

Alle 21 ceniamo con sandwich al roast beef (comprati a Bishop) e la pizza rimasta dal pranzo (qui per sopravvivere non si butta via niente!). Studiamo un pò i trail da affrontare il giorno seguente ma il sonno non ha pietà e ci coglie quasi istantaneamente!

 

 

12 ottobre: El Portal- El Portal  (60 km)

 

LO YOSEMITE IN AUTUNNO

Alle 7,30 siamo in piedi, colazione in camera con succo d’arancia e torta confezionata gusto pneumatico e via di corsa verso il parco. Alle 8,30 siamo all’entrata ovest ma causa lavori in corso (stiamo fermi circa una mezz’ora!) arriviamo al Village non prima delle 9.

La giornata è grigia, le strade un pò complicate causa lavori di ristrutturazione, insomma, il primo approccio con la valley non è proprio dei migliori...

By-passiamo il Visitor Center e ci dirigiamo a Happy Isles (ma con i nuovi sensi di circolazione non sarà così facile arrivarci...) da cui parte il primo trail prescelto per la giornata: il Vernal Falls.

L’hike si rivela non durissimo e in meno di un’ora siamo alla base della cascata, poi con una ripida scalinata raggiungiamo la sua vetta. La portata d’acqua è scarsa ma lo spettacolo è comunque bellissimo, tra l’altro in cima si trova un laghetto dalle acque cristalline con decine di scoiattoli che si avvicinano a noi senza timore e già solo questo vale la minima fatica di arrivare fin qui. Purtroppo fa abbastanza freddo: siamo a 4/5 gradi (i 35 della Death Valley sono ormai un lontano ricordo!) e stare fermi per molto tempo non è che sia il massimo...

Alle 12,30 siamo di nuovo alla macchina, spuntino veloce a base di sandwich al tacchino e ripartiamo in direzione Glacier Point. Mentre Patty ronfa beatamente io mi guardo dal basso i 2 picchi simbolo del parco: l’Half Dome e El Capitan, e cerco di fare qualche foto. In poco più di un’ora siamo a destinazione, la temperatura si avvicina allo zero ma la vista spettacolare che si gode da qui ci fa dimenticare il freddo e ci godiamo in pace il panorama. E’ stupendo, si ha finalmente una visione d’insieme dell’intera valle: Half Dome al centro, Yosemite Falls a sinistra, Nevada e Vernal Falls a destra. Naturalmente la macchina fotografica viene sfruttata a dovere...

Prima di andarcene però ci riscaldiamo un pò nel rifugio con tanto di cioccolata rovente (sinceramente un freddo tale proprio non ce lo aspettavamo!).

5 miglia più a valle parte il 2° trail di giornata, quello che raggiunge Taft Point. E’ un hike semplice  e corto (3 km andata e ritorno), purtroppo però proprio in prossimità del viewpoint comincia a piovere con una certa intensità e scopriamo che tutte la valle è immersa nelle nuvole: non si vede niente! Facciamo velocemente ritorno alla macchina e ci avviamo verso El Portal, un’altra mezz’ora fermi in zona lavori in corso e alle 17,30 siamo al motel. Doccia bollente e serata dedicata alla logistica, ovvero: come far stare tutti gli acquisti nei nostri bagagli?

Con molte speranze e poche certezze intorno alle 20 abbandoniamo il lavoro tattico, cena a base di soliti ma indispensabili sandwich e un pò di tv americana. Senza neanche accorgercene ci addormentiamo quasi subito: meglio di qualsiasi sedativo!

 

 

13 ottobre: El Portal- San Francisco  (380 km)

 

DOLLAR: IL GIORNO DELLA VERITA’

Alle 6,30 la sveglia ci comunica che sta iniziando una nuova giornata. Lasciamo con un pò di rammarico il Cedar Lodge e alle 8,30 siamo all’entrata del parco, per fortuna essendo sabato i lavori in corso sono sospesi e ci possiamo tranquillamente dirigere verso sud in zona Wawona dove in programma c’e la visita al Mariposa Grove, un bosco caratterizzato dalla presenza di numerose sequoie giganti.

La visita può essere fatta sia attraverso comodi trenini a pagamento o passeggiando. Noi naturalmente scegliamo la seconda opzione e senza pensarci un attimo ci incamminiamo. Ci facciamo ben presto un’idea della maestosità di questi alberi: ammiriamo il Grizzly Giant, enorme, e il California Tree, dotato di tunnel interno per l’attraversamento.

La visita dura circa 2 ore (e altri 5-6 km a piedi!), alle 12 siamo alla macchina pronti per partire in direzione San Francisco.

Attraversiamo i bei paesini di Oakhurst e Mariposa e ci fermiamo per l’ultimo pieno a Merced. Qui finalmente riusciamo a provare il cibo di un Taco Bell e ne rimaniamo soddisfatti, a mio giudizio supera di gran lunga i vari Mc Donald’s, Burger King…

Alle 16,30 arriviamo a San Francisco, il traffico è molto intenso ma grazie alle mappe di Mapquest riusciamo a raggiungere senza problemi il nostro motel: il Columbus Motor Inn, scelto per l’ottima posizione (non lontano dal centro commerciale della città e vicinissimo a Fisherman’s Wharf) e per la presenza di un comodo garage che facilita di molto le operazioni di scarico bagagli e ci permette di lasciare la macchina senza essere dissanguati dai vari parcheggi a pagamento della zona.

Dopo aver lasciato i bagagli in camera (una delle migliori provate), ci dirigiamo alla Dollar di O’Farrell Street per rendere la macchina che ci ha accompagnato fin qui nella nostra avventura. La tensione per la faccenda vetro graffiato non è alta come nei giorni precedenti e sia io che Patty abbiamo le idee molto chiare su come agire...

Con un inglese maccheronico (cioè normale per me e un pò forzato per Patty che conosce discretamente la lingua) spieghiamo cosa è successo, anzi, cosa non è mai successo ma che è solo frutto della nostra diabolica mente. Ci sentiamo il sangue ribollire nelle vene ma impassibili recitiamo a perfezione il copione e per fortuna il tutto si risolve con una constatazione di danno in cui all’altezza della riga “how it happened” ci fanno apporre un bel “i don’t know”!!! Alla mia domanda “no problem for this?” ci rispondono candidamente “no problem, you have an insurance!”. Sarebbe stato bello se qualcuno in quel momento avesse filmato i nostri sorrisi a 78 denti! Incredibile, l’abbiamo sfangata anche stavolta! Ma se per caso andate negli States, non raccontatelo a nessuno...

Sfruttiamo l’euforia del momento per cominciare la visita della città: partiamo da Nob Hill per poi scendere in Chinatown, bellissimo quartiere, anche se bisogna ammettere che essendo le 19 passate in buona parte si è già svuotato. Ne approfittiamo per comprare un grosso trolley (risultato della riunione logistica della sera precedente) alla modica cifra di 30$, così forse avremo una possibilità di portare in Italia tutti i nostri acquisti!

Alle 20 siamo in albergo, decidiamo di non uscire più, preferiamo riposarci un pò per sfruttare al meglio il giorno successivo! Cena a base di sandwich (l’ultimo, finalmente!), doccia e tutti a nanna. Domani ci aspettano altri km di cammino!

 

 

14 ottobre: San Francisco

 

A SPASSO PER LA CITTA’

La sveglia suona alle 7,30 ma fuori il cielo è cupo e grigio: speriamo non piova! Ci prepariamo con calma e alle 8,20 siamo in strada: oggi giornata totalmente dedicata alla visita della città. Colazione con pasta e caffè in un bar vicino al motel e inizia il nostro giro. A guidare ora è Patty, io ormai ho concluso il mio dovere di guida ufficiale dei parchi e mi limito a seguirla come un segugio ovunque decida di andare.

La prima tappa è Lombard Street, la caratteristica stradina che scende a zig zag tra aiuole in fiore, poi ci spostiamo al Fort Mason Center, le vecchie caserme e avamposti militari che sono stati trasformati in centri artistici (in realtà tutto ciò che si vede è un bel parco in cui la gente porta a spasso i cani e fa jogging). Caspita, è domenica mattina!

Poi facciamo l’affare della giornata e con 1,50$ a testa compriamo un biglietto del tram che vale per 5 ore (boh, forse perchè è domenica!). Arriviamo al Golden Gate, mezzo immerso nelle nuvole, ma pur sempre emozionante. Andiamo a piedi fino al 1° pilone, qualche foto nella nebbia e poi torniamo indietro: purtroppo non c’è speranza che esca il sole!

Riprendiamo il tram e ci fermiamo al Golden Gate Park dove ci beviamo un thè coi biscotti al Japanese Garden e ci immergiamo nella bellissima atmosfera domenicale che regna in questo parco: famiglie intere su biciclette, tandem, risciò, pedalò,... e qualsiasi altro mezzo di locomozione non a motore! Si vive di una tranquillità inusuale e ci stupiamo dell’educazione e rispetto per gli altri di tutti i visitatori del parco (noi ne avremmo da imparare...!).

Poi a piedi percorriamo il quartiere di Haight Ashbury, atmosfera multietnica, graffiti, rigattieri, artisti, ma anche le prime brutte facce della città... Patty è entusiasta, io controllo che non le rubino la borsa...

Passiamo poi al quartiere di El Castro, feudo della comunità omosessuale. Castro Street è una via residenziale molto carina, ricca di case vittoriane molto curate, mentre Market Street rappresenta la zona più degradata, con molti homeless e facce non certo rassicuranti... e io continuo a tenere d’occhio la borsa della donna...

Visitiamo poi il Civic Center, la zona comprendente City Hall, biblioteca, musei d’arte... oggi animato da un caratteristico e multietnico mercato di frutta e verdura.

Poi Union Square, il vero centro della città, stra-affollato di gente a spasso per i vari negozi, il Financial District (deserto in quanto domenica) con la Transamerica Pyramid ed infine arriviamo all’Embarcadero e ci facciamo a piedi dal Pier 5 al Pier 39. La passeggiata in riva al mare è molto piacevole ma avvicinandosi al Pier 39 la ressa aumenta sempre più, tanto che sembra che mezza San Francisco sia lì. Ci guardiamo i leoni marini che sbraitano come dannati e ci dirigiamo poi verso Fisherman’s Wharf. Sono ormai le 17,30, il sole comincia a calare e fa molto fresco: decidiamo che siamo troppo stanchi per resistere ancora quindi ci prendiamo la tipica zuppa di pesce nella pagnotta (che almeno ci riscalda un pò) e facciamo ritorno all’albergo. Tappa veloce ad un internet cafè per fare il check-in dell’aereo e assicurarci posti buoni (forse sarebbe meglio dire i meno peggio...) e alle 19 siamo in camera, doccia e iniziamo a preparare il bagaglio reale per il giorno dopo: purtroppo domani si parte!

 

 

15 ottobre: San Francisco- Milano

 

L’INCONFONDIBILE ITALIA

Alle 7,30 suona la nostra ultima sveglia. Naturalmente, come penso succeda tutti i giorni: San Francisco è sotto una spessa coltre di nubi.

Prepariamo tutto e verso le 8,30 facciamo il check-out. Lasciamo le valigie nella hall dell’albergo e ci dirigiamo subito nel nostro cafè di fiducia dove facciamo colazione e sfruttiamo la connessione internet per il check-in online del volo Londra- Milano.

Alle 9 siamo in strada, direzione Coit Tower, in zona Telegraph Hill. Decidiamo di salirvi e ammirare San Francisco dall’alto: per fortuna le nubi nel frattempo si sono dissolte e il sole finalmente illumina la città.

Alle 10,30 siamo di nuovo sull’Embarcadero, ci godiamo il Pier 39 con molta meno gente di ieri e facciamo il verso ai leoni marini. Il sole sparisce e comincia a piovere, cominciamo ad entrare a caso nei vari negozi della zona per evitare di bagnarci troppo e attendiamo mezzogiorno per dirigerci a Fisherman’S Wharf, ci rimane l’ultima cosa da fare: gustarci un granchio! Per 17$ ce lo cucinano davanti agli occhi e ce lo servono caldo con tanto di salsa. Seppure sotto la pioggia, ce lo divoriamo senza ritegno!

Alle 13 siamo di nuovo all’albergo, attendiamo una mezz’ora ed arriva lo shuttle che per 14$ a testa ci porta all’aeroporto.

Lasciamo gli States con il tipico spirito da italiano che finisce i soldi liquidi: triplice mancata mancia alla Coit Tower, al portiere d’albergo e all’autista dello shuttle!

Spendiamo gli ultimi 5$ a Londra per un cappuccino e una pasta ed attendiamo una vita la nostra coincidenza per Linate.

Quando il bimotore della British Airways tocca terra non vogliamo credere di essere tornati a casa.

La scala mobile pilotata da 2 uomini si avvicina al portellone, 200mila manovre (un pò a destra, poi a sinistra, poi un pò più in alto, poi in basso...) tutto sotto gli occhi di noi passeggeri pronti a sbarcare. Dopo 5 minuti di tentato posizionamento uno dei due sale in cima, noi ci aspettiamo che il portellone si apra ed invece udiamo: “a Stefanooo, me sa che abbiamo sbagliato scala!!!”.

...Grazie ragazzi! Siamo tornati in Italia!!!

 

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